Silvio Piersanti, il venerdì 28/3/2014, 28 marzo 2014
L’ARTE DEL KISSU. IN GIAPPONE IL BACIO C’È MA NON SI VEDE
TOKYO. «A kiss is just a kiss» cantava l’adorabile pianista del fumoso locale di Humphrey Bogart a Casablanca. Ma no, un bacio non è soltanto un bacio: dipende da cosa ti scarica nelle vene. Un bacio può cambiarti la vita. Domandatelo a quell’ebreo rivoluzionario baciato da Giuda. Giusto in quegli anni, i nostri prischi padri avevano ben tre modi di chiamare il bacio: osculum era quello del rispetto; basium, quello dell’affetto; savium, quello amoroso.
Per la verità, l’osculum era anche detto nei trattati di stregoneria «bacio della vergogna». Era, infatti, il bacio che l’aspirante strega deponeva sull’ano del diavolo durante i sabba, come pegno di sottomissione. Sempre rispetto era. Comunque, onde evitare imbarazzanti e peccaminose confusioni. Santo Isidoro da Siviglia, piissimo (ma con idee alquanto retrograde riguardo alle donne) vescovo spagnolo del settimo secolo, chiariva che l’osculum si dà al figlio, il basium alla moglie, il savium alle puttane. Potrebbe essere questa sua visione manichea della donna una delle ragioni per cui il buon Isidoro, quarto di cinque fratelli, sia l’unico di essi a non essere stato santificato.
Balzo di un millennio e mezzo. Tanti anni fa, ai miei primi approcci professionali con i media giapponesi, mi trovavo all’aeroporto di Haneda a Tokyo (quello di Narita era ancora di là da venire). Vicino a me, all’uscita dei passeggeri in arrivo, c’era una splendida donna, tutta griffata, con in braccio un’adorabile bimbetta di quattro o cinque anni.
Più che parlare, cinguettavano felici e l’unica parola che riuscivo a carpire era italiana: papà, papà. Curioso di vedere chi fosse il fortunato mortale che aveva saputo meritarsi tale donna e tale figlia, decisi di perdere il pullman per Tokyo-centro e aspettare che arrivasse papà.
Non considero mai una perdita di tempo osservare il comportamento della gente per strada. Non sono il solo. Joseph Conrad si lamentava: «Mia moglie non vuole mettersi in testa che quando sto ore alla finestra a guardare i passanti, io sto lavorando». Ed eccolo l’evidentemente (ed ora che lo vedo, giustificatamente) adorato papà: giapponese, anche lui elegantissimo, disinvolto, agile, sorriso assassino. Uno di quelli, si diceva allora, che non devono chiedere niente. Immagino la scena da carosello pubblicitario che sta per materializzarsi davanti ai miei occhi e invece... niente abbracci, baci, carezze, gridolini di gioia: l’uomo si ferma a un metro dalla donna. Lei poggia la bambina in terra. E tutti e tre si scambiano un inchino, gli occhi bassi e un sorriso appena accennato. Poi lui prende il suo bagaglio, lei stringe la mano della bambina e si avviano chiacchierando allegramente verso i taxi. Per i baci e tutto quel che forse segue, bisogna aspettare di essere tra le mura (si fa per dire, che qui sono di carta) di casa.
La ritrosia dei giapponesi a baciarsi in pubblico (ma in questo Paese è considerato sfacciato anche camminare mano nella mano) potrebbe avere radici lontane. Secondo alcuni antropologi, i giapponesi primitivi, a differenza di molti altri ceppi etnici, non conoscevano la posizione coitale cosiddetta «del missionario», cioè faccia a faccia, da cui sarebbe scaturita la scoperta della piacevolezza del bacio. Il loro rapporto sessuale era rapidissimo e solo da terga per essere più pronti alla fuga in caso di attacchi.
Comunque, pur avendo scoperto tardi le delizie del bacio, anche i giapponesi, come i latini, hanno diversi modi di denominarlo: kuchisui (bocca aspirante) è il nome più antico ed è raramente usato nel giapponese moderno se non in senso grottesco e satirico; kuchizuke (attaccare la bocca) si usa solo nella lingua scritta, è poetico, elegante, romantico; seppun è composto da due ideogrammi kanji di origine cinese, che vogliono dire «toccare le labbra»; l’onomatopeico chu che si pronuncia ciù, come un piccolo starnuto ed è molto usato nei manga; e infine kissu, chiaramente proveniente dall’inglese kiss.
Le sfumature sono meno marcate che in latino e crediamo che il buon Isidoro da Siviglia avrebbe avuto qualche difficoltà a stabilire quale bacio si dovesse dare a chi. Come esempio, si può ricordare che nell’espressione «baciato dalla fortuna» si usa kuchizuke perché è un bacio leggero, appena sfiorato sulla bocca che è considerata il luogo di entrata ed uscita dell’anima. Ma il bacio che potrebbero scambiarsi due innamorati dei nostri giorni, certamente sarebbe il kissu.
Il bacio in Giappone è stato sempre considerato un atto che richiede molta riservatezza. Prima della guerra fu organizzata una mostra d’arte che doveva avere come pezzo principale una famosa scultura di Rodin intitolata Le Baiser (Il bacio), in cui era ritratta una coppia nuda nell’atto di baciarsi. Il soggetto «scabroso» dell’opera dello scultore francese creò molti problemi. Le autorità governative ritenevano l’opera inadatta a una pubblica esposizione. Ma non era la nudità della coppia che scandalizzava, bensì il particolare del bacio. Qualcuno propose di esporla dopo aver calato sulle teste degli amanti una spessa busta nera. Alla fine fu deciso di rinunciare alla mostra. I giapponesi dovettero aspettare il dopoguerra per poter ammirare l’opera.
Il bacio in pubblico, anche quello casto sulla guancia, è una delle tante cose fatte conoscere ai giapponesi dalle truppe americane dopo la guerra. Nei film giapponesi non si vedevano mai scene di baci e i soldati americani se ne lagnavano. Le autorità d’occupazione fecero allora forti pressioni sui produttori cinematografici giapponesi perché inserissero scene di baci nelle loro pellicole. Furono accontentati, ma si dovette fare lunga e paziente opera di persuasione per convincere attrici e attori a baciarsi davanti a una cinepresa. Alcuni accettarono solo dopo che fu loro concesso di mettere una sottile linguetta di cellophane sulle labbra per evitare un contatto diretto. Questi film, denominati kiss movies (film con baci), ebbero uno straordinario successo, ma ci si guardava attorno prima di entrare nella sala cinematografica e si usciva prima che si accendesse la luce alla fine della proiezione perché erano considerati alla stregua di film porno. La famosa attrice cinematografica Kinuyo Tanaka, nel 1949, al ritorno da un soggiorno negli Stati Uniti, ebbe l’infelice idea di salutare la folla di fans venuta ad accoglierla, soffiando verso di loro baci dal palmo della mano, come aveva imparato a fare a Hollywood. Fu considerato un gesto «volgare» che le fu rimproverato per tutta la carriera.