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 2014  marzo 28 Venerdì calendario

AL-SISI SCENDE IN CAMPO IN UN EGITTO AL COLLASSO


IL CAIRO. Mercoledì sera il generale al-Sisi ha ufficialmente dichiarato di essere pronto a candidarsi. Era ormai atteso: ma se, come ci si aspetta, sarà lui a vincere, dovrà affrontare una serie di problemi irrisolti, dagli scioperi che hanno paralizzato il paese alla svalutazione della moneta, all’aumento dei prezzi (+69 per cento dal 2010 per ciò che concerne bevande non alcoliche e cibo).
Nell’annunciare la sua candidatura, al-Sisi ha promesso «stabilità e sicurezza»: e nell’Egitto paralizzato dagli attentati terroristici e dal crollo dell’economia, concetti come stabilità politica e sicurezza economica sono i capisaldi di qualsiasi dibattito. Se la responsabilità della prima ricade su esercito e polizia, la seconda, almeno in teoria, dovrebbe dipendere dai capitali degli azionisti e dal coinvolgimento di imprenditori pubblici e privati.
Tuttavia, in Egitto una fetta importante dell’economia nazionale è sotto il controllo dell’esercito, slegata da qualsiasi norma generalmente applicabile agli uomini d’affari presenti nel paese. E’ un sistema che si è costruito nei decenni, in cui i vertici militari hanno consolidato un ruolo politico ed economico ormai strettamente intrecciati.
Sin dal 1952 l’esercito ha avuto un ruolo determinante. Dapprima a livello politico, con esponenti delle forze armate inseriti nelle posizioni ministeriali più importanti. Successivamente a livello economico, quando la firma del trattato di pace con Israele nel 1979 non rendeva più necessario mantenere un esercito numeroso. L’effetto potenzialmente destabilizzante generato dal trattato era di lasciare molti membri dell’esercito senza un’attività lavorativa.
Così Hosni Mubarak, succeduto al generale Anwar Sadat nel 1981, decise di creare l’Organizzazione Nazionale per i Prodotti di Servizio, il cui fine era quello di assorbire la massa di persone estromesse dalle forze armate attraverso la creazione di entità commerciali e manifatturiere. Insieme al Ministero per la Produzione Militare e all’Arab Organization for Industrialization (Aoi), è questa l’ossatura attorno a cui è stato costruito l’impero economico dei militari egiziani.
Molte di queste attività sono esentate dal pagamento delle tasse, ricevono numerose agevolazioni fiscali e possono essere collocate praticamente ovunque, stando a una legge approvata nel 1991 secondo cui l’esercito può requisire per motivi di sicurezza nazionale le terre di cui ha bisogno. Non solo, dunque, per le aziende che producono armi e mezzi militari, ma anche le fabbriche di beni di consumo – da acqua, pasta, olio, carne, a elettrodomestici e automobili ed altro ancora. Nel corso degli anni l’esercito ha esteso i propri interessi anche nel ramo della sanità, del petrolio, del gas, del cemento e del turismo.
Valutare il peso dei militari nell’economia egiziana però non è semplice, a partire dalla percentuale del Pil generato dalle loro aziende, su cui circolano cifre comprese tra il 5 e il 40%. Proprio pochi giorni fa il Financial Times ha pubblicato un articolo in cui il generale Mohammed Amin, capo del Dipartimento degli affari finanziari dell’esercito, riferiva che la quota del Pil in mano alle forze armate non raggiunge neanche l’1 per cento (1,75 miliardi di dollari). Graeme Bannerman, direttore del Middle East Institute, ritiene invece che «solo l’11% dell’economia sia nelle mani dell’esercito». Anche Sherifa Zuhur, esperta di questioni mediorientali (che ha avuto tra i suoi allievi anche il generale Al-Sisi), è convinta che le cifre diffuse da molti media siano esagerate: «Non mi sorprenderei se le cifre fossero un po’ più grandi di quelle menzionate da Amin, ma non di molto», osserva: «Probabilmente la vera ricchezza dei militari egiziani risiede nel possesso della terra e nella partecipazione di ufficiali ed ex ufficiali nella gestione di imprese commerciali. Un fatto, questo, riscontrabile anche negli Stati Uniti, ma con una differenza sostanziale. Là gli ufficiali in pensione vengono assunti da compagnie private, mentre in Egitto vengono ricollocati all’interno di aziende di proprietà dell’esercito stesso».
Di parere diverso è Robert Springborg, che ha insegnato per anni alla Naval Postgraduate School di Monterey (Usa): «Non esistono numeri ufficiali perché né il governo né i militari hanno mai reso pubblici questi dati. Ritengo, però, che cifre al ribasso sottostimino il ruolo dei militari nell’economia egiziana. Tutti sanno che l’esercito è responsabile per la maggior parte dei progetti infrastrutturali del paese, oltre ad avere un ruolo fondamentale nel settore degli idrocarburi, dei trasporti e dei consumi. I soli contratti edilizi fruttano centinaia di milioni di dollari».
Al di là delle percentuali, variabili e proprio perché non ufficiali, il punto è la qualità, più che la quantità, dell’economia dei militari. Già in passato, su Foreign Policy, Zeinab Abul Magd, docente presso l’Oberlin College, ha denunciato l’inefficienza e il clima di corruzione che circondano le forze armate egiziane. Opinione condivisa anche dallo stesso Springborg: «La gestione delle attività economiche da parte dei militari è subordinata ai rapporti di potere che intercorrono tra i suoi membri. Per questo è un sistema intrinsecamente inefficiente e corrotto».