Pietro Greco, l’Unità 28/3/2014, 28 marzo 2014
LO SHALE GAS È DAVVERO UN’ALTERNATIVA A GAZPROM?
Si chiama shale gas e non è solo il gas metano estratto dalle rocce argillose con cui gli Stati si stanno guadagnando l’autosufficienza energetica. È anche la nuova «arma strategica» che Barack H. Obama ha offerto all’Europa per rinsaldare l’antica alleanza e contrastare le tentazioni imperiali di Vladimir Putin e della nuova Russia.
La proposta di Obama è semplice. Voi europei dipendete dal gas di Putin. Ma la Russia dipende dalla vendita di metano all’Europa. Cambiarne flusso energetico. Il gas ve lo do io. E così raggiungeremo due obiettivi. Voi avrete una fonte di energia più affidabile e amica. E la Russia subirà un danno economico mica da poco. Probabilmente sufficiente a ridurla a più miti consigli.
Non c’è dubbio che la proposta di Obama ha un forte valore geopolitico. Ma l’offerta del Presidente degli Stati Uniti va letta solo in questa chiave? Detta in maniera più rozza: Obama progetta di venderci lo shale gas solo per motivi strategici o, anche, per motivi economici? In fondo, sarebbero gli Stati Uniti a vendere e a incassare, mentre sarebbe l’Europa ad acquistare e a tirar fuori i quattrini.
La domanda non ammette una risposta semplice. Sul valore strategico della proposta non ci sono dubbi. Gli Stati Uniti non comprendono il modo di ragionare della Russia, ne temono le pulsioni imperialiste e intendono contrastarle. E poiché la Russia è una superpotenza nucleare, l’opzione militare è da escludere perché troppo rischiosa. Per Obama lo shale gas è certo l’«arma strategica». Se non l’unica, certo la più potente che ha a disposizione. Proprio perché l’economia russa si fonda sulla vendita di materie prime e, in particolare, di combustibili fossili.
Tuttavia, per essere solo un’arma strategica, l’offerta ha qualche limite. Il primo dei quali è quello dei tempi. L’Europa non può sostituire da un giorno all’altro il gas russo con il gas americano. Per almeno quattro motivi.
Primo: l’unico modo per portare il gas dagli Stati Uniti all’Europa è su nave, attraverso l’Atlantico, in forma liquida. Ma in questo momento gli Stati Uniti non sono attrezzati per farlo. È vero gli Usa stanno costruendo un grosso impianto di liquefazione dello shale gas a Cameron Parish, Louisiana. Ma ci vorrà ancora tempo per completarlo. E in ogni caso non è sufficiente. In pratica, per far diventare operativa la loro «arma strategica» ed essere in grado di offrire una quantità di gas paragonabile a quello russo, gli Usa hanno bisogno di mesi, se non di anni.
Secondo: neppure l’Europa è pronta. Dovrebbe realizzare un numero piuttosto grande di impianti di gassificazione del gas liquido (e in Italia sappiamo quanto è difficile realizzarne anche uno solo). E dovrebbe intervenire anche sulla rete di distribuzione. Insomma, anche al Vecchio Continente occorrerebbero mesi se non anni.
TEMPI LUNGHI
Terzo: c’è di mezzo la burocrazia. Norme e leggi negli Stati Uniti rendono, in questo momento, facile la vendita dello shale gas ai Paesi con cui esiste un accordo di libero scambio di energia. Questi accordi esistono e sono operativi con paesi del continente americano. Non con l’Europa. Occorrerebbe, in tempi, brevi stipulare questi accordi. Non è impossibile. Ma, anche in questo caso, occorre tempo.
Quarto: chi paga il conto? Il gas americano costerebbe di più – alcuni analisti dicono molto di più – del gas russo. Non fosse altro che per il problema del trasporto via nave. Il gas americano è controllato da privati. Che, vendendo all’Europa, vorranno avere quanto meno gli stessi margini di guadagno che hanno vendendo negli Stati Uniti o in Messico. È disposta l’Europa a pagare i costi suppletivi? Li pagherebbe anche il governo federale degli Stati Uniti? E se sì, come e in che quota parte?
Tutti questi problemi per ora restano senza soluzione. E non c’è possibilità che le soluzioni possano essere trovate in tempi brevi. Questo Obama lo sa. E, dunque, non è improbabile che abbia dato l’annuncio proponendosi non solo effetti geopolitici, ma anche squisitamente economici. L’apertura di un secondo forno per il pane energetico degli Stati Uniti può portare, infatti, a un aumento dei prezzi di mercato dello shale gas, con conseguente aumento dei guadagni delle industrie che lo controllano. E questo aumento atteso del prezzo del gas, potrebbe portare a un più immediato aumento delle quotazioni di mercato.
Certo, qualcuno potrebbe sostenere che questi effetti sarebbero un classico esempio di eterogenesi dei fini. Obama vuole proporre un’«arma strategica» e non si cura degli effetti economici del suo annuncio.
Ma è anche vero che Obama non è un ingenuo. È il Presidente degli Stati Uniti d’America.