Paolo G. Brera, la Repubblica 28/3/2014, 28 marzo 2014
EBOLA è tornata a uccidere. La febbre emorragica, diffusa dal più terribile tra i virus per cui non abbiamo ancora trovato una cura, stavolta colpisce con il suo ceppo peggiore
EBOLA è tornata a uccidere. La febbre emorragica, diffusa dal più terribile tra i virus per cui non abbiamo ancora trovato una cura, stavolta colpisce con il suo ceppo peggiore. È il più virulento e mortale tra i quattro in grado di diffondersi fra gli umani: si chiama “ Zaire” e in pochi giorni ha sterminato 63 persone in due comunità della Guinea, Guéckédou e Macenta. Sessantatré su 88 contagiati, già il 71% di mortalità se non ci saranno nuovi decessi: da quando fu isolato nel 1976 Zaireha ucciso più di ottanta persone ogni cento infettati. Paradossalmente, la sua forza è anche il suo limite: «La morte dei contagiati avviene così rapidamente che il virus fatica a diffondersi », spiega Silvia Mancini di Medici senza frontiere (Msf). Ma ieri sera si è aperto un nuovo fronte: il governo ha confermato altri quattro casi nella capitale Conakry, dove con due milioni di abitanti è molto più difficile arginare l’epidemia. E altri casi da verificare sono stati segnalati in Liberia e Sierra Leone. L’allarme internazionale è scattato non appena l’Oms ha confermato, nei giorni scorsi, che si trattava di Ebola. Un’équipe dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani di Roma è volata in Guinea insieme a colleghi del Bernhard-Nocht Institute di Amburgo e del Pasteur di Lione, per una missione d’emergenza che troverà già in zona i medici, i logisti e gli infermieri di Msf. «Le condizioni di lavoro sono particolarmente difficili — continua Mancini — il personale lavora indossando una specie di scafandro con maschere protettive, occhiali e guanti per non entrare in contatto con secrezioni e liquidi come le particelle di saliva che si nebulizzano con la tosse». Il vettore di diffusione tra uomo e uomo sono i liquidi corporei, ma è stato vietato anche il consumo di carne di pipistrello, tradizionalmente mangiato in umido: è un noto vettore del virus come possono esserlo le carni di altri animali selvatici consumate in questa zona dell’Africa come antilopi e scoiattoli, porcospini e scimmie. «Si sa pochissimo del virus — spiega Mancini — e purtroppo non esiste una cura. I pazienti vengono idratati con flebo per compensare la perdita di liquidi e si somministra paracetamolo per febbre e dolore, alleviando i sintomi». Per chi è colpito, non resta che sperare. Il periodo di incubazione è breve, può durare anche solo due giorni, ma la malattia è subito infida. Si manifesta con sintomi simili alla malaria: febbre, mal di testa, dolori muscolari, congiuntivite e affaticamento. «In un secondo momento — spiega la tropicalista Esther Sterk — si registra vomito, diarrea e talvolta rash cutaneo. Il virus si diffonde nel sangue e paralizza il sistema immunitario, il corpo non lo riconosce e quando risponde è ormai troppo tardi: impedisce l’accesso del sangue agli organi vitali causando emorragie gravissime». In America, dove Ebola viene studiato per trovarne un antidoto in caso fosse utilizzata come arma biologica, diversi vaccini sono arrivati alla fase di sperimentazione animale, ancora lontanissimi da un eventuale uso clinico. Ma i risultati sono molto incoraggianti: il professor Thomas Geisbert della University of Texas ha messo a punto un vaccino che «in laboratorio ha dimostrato di essere efficace anche come terapia nel cento per cento degli animali infettati». Con una prospettiva di morte così concreta, sarebbe possibile un uso compassionevole anche nell’uomo ma «nessuno ce lo ha chiesto. Peccato, basterebbero poche ore per l’autorizzazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA Un’immagine del maggio 1995, quando si diffuse la precedente epidemia di Ebola: un paziente viene trasportato all’ospedale di Kikwit, in Congo