Stefania Ulivi, Corriere della Sera 28/3/2014, 28 marzo 2014
ROMA —
Tutto cominciò con una telefonata. «Chiamai Domenico Starnone, Luigi Manconi mi aveva passato il suo Sottobanco , io cercavo un testo da mettere in scena con Angela Finocchiaro, mi sembrava perfetto. Dovetti vincere la sua diffidenza iniziale. Non era convinto che avrebbe funzionato. Invece a teatro fu un successo incredibile, a partire dalla prima a Longiano nel febbraio 1992, fummo travolti da un entusiasmo clamoroso. Studenti, professori, genitori. Rita Cecchi Gori poi ci convinse a trasformarlo in un film». Silvio Orlando e Daniele Luchetti tornano al passato, riportando in scena, da protagonista e regista, quel testo. Prima nazionale il 3 aprile al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, l’anno prossimo in tournée.
Al suo fianco Marina Missironi e Roberto Citran. «Il vero punto di domanda è come verrà accolto dopo vent’anni. Dal punto di vista artistico è una macchina straordinaria. Funziona come un piccolo classico, un Molière, uno Scarpetta. Lo abbiamo lasciato negli anni ‘90, non c’era bisogno di attualizzarlo. La scuola è un archetipo. Un luogo interclassista e intergenerazionale costruito sul capitale umano: il professore reazionario, l’alunno diligente, i demotivati, gli idealisti».
Al centro del testo di Starnone — scrittore e a lungo insegnante che debuttò con Ex catedra — uno sconto tra due visioni opposte. Arena del contendere il consiglio di classe di fine anno della IV D, una classe come tante di un istituto di periferia. «Io e Marina rappresentiamo il nuovo che avanza, insegnanti che credono nella scuola per tutti che non deve lasciare indietro nessuno. Contro abbiamo il professor Mortillaro, la scuola del passato, selettiva che vuole creare professionisti». Ora lo schema sembra essersi ribaltato. «È vero. Ho il terrore che il reazionario Mortillaro da vecchio arnese del passato sia il nuovo che avanza e noi quelli da mettere da parte».
Ultimamente si è tornati a riflettere sul ruolo di figure di maestri come Alberto Manzi e Mario Lodi. «Ci hanno insegnato lo sforzo continuo di fare della scuola un luogo inclusivo», osserva Orlando. «Accendere scintille in ogni mente. Si dimentica troppo spesso che noi fino un secolo fa eravamo un Paese di analfabeti. La scuola ha svolto un ruolo straordinario, offerto possibilità non solo a chi per ceto sociale già le aveva. Negli anni Settanta l’istruzione ha funzionato come ascensore sociale». Adesso, osserva, quell’ascensore si è bloccato. «Non ci si può limitare ad aiutare i bravi, anche con meno risorse la vera scommessa resta trovare il modo di arrivare a tutti». Renzi cita spesso la scuola. «Spero che i suoi annunci sortiscano almeno la metà dei risultati. Il problema è culturale, ci si deve convincere che l’istruzione è un bene primario, una ricchezza da coltivare».
Scintille da accendere, appunto. «A me la fece scattare un professore che era anche un prete, gestiva il cineforum della scuola».
Il ritorno a scuola lo rende felice. E ammette: «Mi piace l’idea riportare in teatro questo testo, fu un caso eccezionale di passaggio dal palcoscenico al grande schermo, in Italia non capita. La sua forza è stata e sta ancora nell’aver dato un volto ai protagonisti. Gli studenti sempre dipinti come dei mostri e i professori come degli sconfitti. Nomi e cognomi, anima e sentimenti. Questo possono fare il teatro e il cinema».
Stefania Ulivi