Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 28/3/2014, 28 marzo 2014
MILANO —
L’Italia torna ad essere appetibile, ha detto due giorni fa il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, dai mercati «emergono rinnovati segnali di interesse». Le antenne di Via Nazionale sono tradizionalmente indirizzate nelle giusta direzione, il governatore parla senza timore di smentite. Anche perché a sostegno della sua analisi ci sono ormai diverse e significative riprove sia sotto forma di investimenti diretti dall’estero sia di studi delle banche internazionali, che di quegli investimenti sono in gran parte i motori.
Così non stupisce che nello stesso giorno in cui la fiducia delle imprese italiane sale ai massimi dal 2011 e il Tesoro piazza 7,5 miliardi di Bot ai minimi storici, nell’azionariato dei due colossi dell’energia, Eni ed Enel, compaia con il 2% un nome pesante come la Banca centrale cinese (People’s bank of China), con un investimento di 2 miliardi di euro. Quello di Pechino è solo l’ultimo degli esempi di un rinnovato interesse per l’Italia, sostenuto dall’«abbattimento del rischio di disgregazione dell’area euro» — ha spiegato Visco — che si riflette nello spread sempre più ridotto (ieri a quota 177 punti base); dai segnali di ripresa economica; dai prezzi di Borsa ancora bassi delle imprese italiane nonostante il +37% dell’ultimo anno dell’indice FtseMib; dalla politica monetaria accomodante della Bce; dalla mancanza di grandi investitori nazionali, a cominciare dalle Fondazioni bancarie; dall’atteggiamento di favore dei mercati verso il nuovo governo di Matteo Renzi e verso le sue promesse di riforme strutturali, che potrebbero dare una scossa al Paese.
Questi sono per esempio alcuni dei punti sulla base dei quali un colosso come la banca d’affari Goldman Sachs ha indicato l’Italia come il Paese europeo su cui puntare nel 2014: il sistema finanziario nazionale — inteso come Btp, bond societari e azioni — «prospetta alcuni tra i maggiori guadagni dell’area Euro». «Stay long Italy» è il messaggio degli analisti, cioè «tenete i titoli di Stato». D’altronde la quota di debito pubblico in mano a soggetti non residenti si è assottigliata attorno al 40% rispetto al 50% circa di metà 2011, prima della crisi. Dunque c’è spazio per un ritorno.
Ma oltre alle mosse sul debito pubblico e privato, meno visibili, ci sono le mosse sui titoli quotati importanti e molto noti, sia dell’industria sia della finanza. A farla da padrone sono i grandi fondi d’investimento americani, come BlackRock, che ha puntato in maniera massiccia sulle banche italiane conquistando il 5% di Unicredit, di Intesa Sanpaolo e anche di Mps (addirittura in quest’ultima si sarebbe portato già all’8,5%). Un altro fondo americano, Kkr, ha allo studio con Intesa Sanpaolo e Unicredit una società per rilevare i crediti di società clienti dei due istituti. Per alleggerire le banche dei crediti problematici — una montagna stimata in circa 260 miliardi — diversi altri fondi sono interessati a costituire o a rilevare bad bank (come nel caso del Banco Popolare). Poi c’è l’industria: qui la nazionalità dei capitali è molto diversificata. Il gigante russo dell’energia Rosneft ha investito 500 milioni per entrare in Pirelli con il 13%. Sul mattone delle coop ha invece puntato il finanziere George Soros, che con la sua Quantum Strategic Partners ha comprato il 5% dell’immobiliare Igd (i supermercati). Poi c’è il fronte arabo: oltre alle banche (Abu Dhabi in Unicredit, il Qatar — fra le altre cose —nel quartiere Porta Nuova a Milano), di recente il Fondo Strategico italiano ha stretto un’alleanza con il fondo sovrano del Kuwait, Kia, per una società in comune da 2 miliardi di euro, in cui gli arabi mettono 500 milioni e che custodirà le quote nelle partecipazioni del Fondo stesso: Ansaldo Energia, Metroweb, Hera, Kedrion, Sia, Valvitalia. Infine la moda: il 20% di Versace è finito lo scorso febbraio agli americani di Blackstone per 210 milioni; Krizia è diventata cinese, del colosso Shenzen Marisfrolg Fashion.
Fabrizio Massaro