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 2014  marzo 28 Venerdì calendario

ERDOGAN PARLA DI GOLPE PER SFUGGIRE ALLA GIUSTIZIA LA TURCHIA È IN PERICOLO


[Fetullah Gülen]

ISTANBUL.
«Quel che stiamo vivendo in Turchia assomiglia a ciò che succede nei Paesi dominati da una sola persona o un solo partito. Considerare l’inchiesta sulla corruzione del governo come un golpe può essere il sintomo di una paranoia».
Parole pesanti. Tutte rivolte contro Tayyip Erdogan, il premier turco. Ma oggi Fetullah Gülen, l’influente predicatore islamico impegnato in un braccio di ferro teso a smascherare la Tangentopoli sul Bosforo, è davvero arrabbiato. Le autorità hanno appena annullato a Kanalturk, la sua tv, la licenza. A febbraio hanno già tagliato i finanziamenti alle dershane, le sue scuole private. E ieri mattina la finanza è entrata nella Kaynak holding, vicina alla sua confraternita, sequestrando computer e documenti.
C’è una battaglia feroce dentro l’Islam, ed è quella fra Erdogan e Fetullah. Gülen, 72 anni, è una delle figure più influenti del mondo musulmano.Ilsuomovimento Hizmet( Il servizio) è diffuso in 160 Paesi. Predica la coesistenza e promuove il dialogo. Ma in Turchia i sostenitori della laicità lo guardano con prudenza. Gli integralisti come un deviazionista.
Lui si considera un moderato. All’inizio del Duemila la sua alleanza informale con il partito conservatore islamico di Erdogan ha portato all’estromissione storica dei generali dalle stanze del potere. È schivo, e parco nelle dichiarazioni.
Parla a Repubblica a tre giorni da amministrative ritenute un referendum su Erdogan.



L’INTERVISTA
ISTANBUL
FETULLAH Gülen, domenica si vota, ma la Turchia è attraversata da tensioni sociali molto forti. Che cosa sta succedendo?
«Chi occupa determinati uffici dovrebbe fare attenzione a ciò che dice. Le notizie false, trasmesse da alcuni media, sono in grado di polarizzare la società. In passato la Turchia ha vissuto avvenimenti dolorosi. I giovani si sono combattuti per strada. Gruppi di diverso colore politico si sono affrontati con l’ossessione di mangiarsi come cannibali. Militanti di destra e di sinistra, turchi e curdi, aleviti e sunniti, religiosi e non religiosi si sono visti come nemici».
Vuol dire che oggi si corre lo stesso rischio?
«Dico che mantenere il progresso democratico, la pace e la tranquillità ottenuti negli ultimi anni è un grande compito che spetta a coloro che si trovano ai vertici dello Stato. Ma non so quanto ne siano coscienti. Non ho mai smesso di sperare che queste difficoltà verranno superate con l’aiuto di Allah. Ogni cosa a suo tempo. Intanto, a noi spetta il compito di pregare, di implorare l’aiuto del Signore evitando comportamenti che possano accrescere la polarizzazione. Penso alle parole di Yunus Emre (poeta sufi a cui Fetullah si ispira, ndr.): “Occorre essere senza mani di fronte a chi picchia, senza lingua a chi insulta, senza offendersi”».
Eppure il premier Erdogan l’attacca ormai in maniera diretta. Parla di un “impero della paura creato da un’organizzazione” che aizza giudici e polizia. Accusa i suoi sostenitori di tentare una sorta di golpe. Parla di “tradimento”. Lei che cosa risponde?
«Faccio veramente fatica anch’io a capire affermazioni di questo tipo. Tutti conoscono gli elogi fatti dalle persone che si trovano negli alti uffici statali, premier compreso, circa le attività della nostra comunità. Adesso, di punto in bianco, ci considera come antagonisti, accusandoci senza alcun fondamento».
Tuttavia Erdogan vi conosce bene, fra voi c’è stata un’alleanza di gruppi orientati verso una comune visione dell’Islam. Che cosa è cambiato, allora?
«Forse qualcuno trae vantaggio dal deviare la questione della corruzione spacciandola come una lotta per il potere politico. C’è come uno sforzo di farla scivolare dal quadro giuridico a quello politico. Eppure la gente concorda sull’esistenza della corruzione. Lo dicono le prove trasmesse alla stampa, le dimissioni dei ministri, le dichiarazioni di deputati. Casi simili succedono anche nei Paesi democratici, ma lì non vengono considerati come tentativi di colpo di Stato o come un tradimento. Se ci sono dei responsabili, vengono individuati e condannati dai tribunali, mentre i governi continuano per la loro strada».
E lei adesso che cosa prevede?
«Già negli anni ‘90, al tempo del colpo di Stato post-moderno (si riferisce all’avvertimento fatto dai generali nel ‘97 senza spargimento di sangue che fermò l’ascesa del leader integralista islamico Erbakan, ndr.), erano partite accuse contro la nostra comunità. E i tribunali attestarono che non avevano alcun fondamento. Quelli che adesso le ripetono, un giorno si pentiranno e alcuni chiederanno scusa. Ma nel frattempo questo costituisce una perdita per la Turchia, così come per l’umanità».
Però per anni il suo movimento è stato un alleato del partito conservatore islamico di Erdogan, anche per estromettere i militari dal potere: operazione riuscita. Allora perché adesso il primo ministro si batte contro di lei?
«Noi abbiamo appoggiato per i loro valori sia coloro che sono al governo ora, sia altri partiti politici in passato. Un appoggio offerto solo nel periodo delle elezioni. Se la si vuol chiamare alleanza, è una cosa. Ma noi non abbiamo mai avuto nessuna aspettativa politica. Abbiamo sempre criticato quel che consideravamo sbagliato. Non abbiamo mai cambiato la nostra posizione. Pertanto colui al quale si deve rivolgere questa domanda è lo stesso primo ministro».
Quali sono dunque gli obiettivi del suo movimento?
«Noi consideriamo l’uomo, e diamo peso alle attività educative per cercare di risolvere i problemi dell’uomo. Abbiamo costruito dormitori, scuole, centri di preparazione agli esami pre-universitari, sale di lettura. Un servizio offerto in Turchia e in più di 160 paesi. La popolazione e i governanti di questi Paesi hanno accolto il nostro movimento con calore. Abbiamo avviato attività nel campo degli aiuti umanitari, dei servizi sanitari e del dialogo. L’obiettivo è quello di progredire tutti insieme in un mondo in cui regni la pace e la tranquillità, in cui tutti si considerino santi in quanto esseri umani, nel rispetto reciproco delle proprie posizioni. Crediamo che cercare il compiacimento di Allah consista proprio in questo. Non abbiamo nessun altro scopo».
E sotto il profilo politico?
«Ci limitiamo al voto sulla base di determinati valori. Finora non siamo mai stati sulla stessa linea con nessun partito. Come cittadini, non abbiamo altre aspettative se non il rispetto della legge, dei diritti e delle libertà universali. Non siamo mai entrati in nessuna trattativa né abbiamo mai ricercato il potere».
Lei però è molto attento al suo Paese. La Turchia ora come esce da questa crisi?
«Noi siamo per la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. Tuttavia l’inchiesta sulla corruzione è in corso. Lo Stato mette tutta la sua forza contro i pubblici ministeri e i poliziotti che non fanno nient’altro che il loro dovere. Allo stesso modo una grande comunità viene messa sotto accusa dai media. Si sta cercando di mettere il potere giudiziario sotto il controllo dell’esecutivo. Forse la soluzione sta nel rispetto della legge, del diritto, dei princìpi democratici come previsto dai criteri dell’Unione Europea, poiché il nostro Paese è candidato alla sua adesione».
Un cammino fermo, però. Che cosa ne pensa?
«L’avventura turca dell’adesione alla Ue era diventata una politica statale, ma aveva guadagnato il consenso della società. Anche noi l’abbiamo appoggiata. Anni fa avevo detto che sia la Turchia sia l’Europa hanno da dare e da ricevere da questa adesione. Non ho cambiato idea».
Lei vive in autoesilio negli Stati Uniti. Perché?
«Per la mia salute mi trovo meglio qui. Mi preoccupo del fatto che il mio ritorno in Turchia possa essere strumentalizzato e valutato come un’occasione per peggiorare una situazione già tesa. Ai tempi del colpo di Stato post-moderno del 28 febbraio 1997 ho subìto, per così dire, una persecuzione da parte dei membri del potere giudiziario sotto la pressione del regime militare, dopo calunnie e diffamazioni. Tutte accuse ingiuste, senza alcun fondamento».
Però c’è chi aspetta il suo ritorno in Turchia. Lo farà, un giorno?
«Purtroppo ancora oggi vengono divulgate calunnie attraverso la stampa. In queste circostanze, seguendo il consiglio dei medici, preferisco rimanere qui. Se sapessi che i problemi della Turchia trovassero una soluzione con la mia morte, preferirei morire ogni giorno mille volte. Preferisco rimanere qui, seppellendo nel mio cuore la nostalgia per il mio Paese, per di non offrire nuovo materiale a chi prende di mira la pace e la tranquillità della Turchia».
Lei è anche un punto di riferimento spirituale. Nel 1998 andò in Vaticano ed ebbe un incontro importante con Giovanni Paolo II. Come considera l’arrivo e le riforme intraprese da Papa Francesco?
«Il dialogo è uno strumento efficace per abbattere i pregiudizi e i malintesi tra le persone, avvicinandole. Non ho avuto ancora nessun contatto con Papa Francesco. Ma da ciò che ho potuto vedere è stato accolto in tutto il mondo con ammirazione, proprio per la sua apertura al dialogo. La stessa che predichiamo noi».