Jean-Marie Colombani, Sette 28/3/2014, 28 marzo 2014
COSÌ EUROPA E USA HANNO AIUTATO PUTIN
Sono già passati tre anni. Un anniversario tragico e lugubre. Ebbene sì, siamo entrati nel quarto anno della guerra civile che lacera la Siria, con decine di migliaia di morti, con i bambini martirizzati e la popolazione esiliata. Ebbene sì, alle nostre porte è tornata la barbarie. Eppure tutto era cominciato sotto i migliori auspici, se così si può dire. Ovvero con una rivolta contro la dittatura, sulla scorta dell’entusiasmo per la Primavera araba. Seguendo l’esempio del “piccolo” popolo tunisino, che per primo ha sventolato il vessillo della libertà, e che, a distanza di tre anni, è riuscito a imporre un compromesso democratico che si chiama Costituzione.
In Siria non è accaduto niente del genere. Ne prendano atto gli eterni partigiani dell’“acquietamento”, i sostenitori della non ingerenza. Perché è evidente che sarebbe stato necessario intervenire subito. Ma in quel momento gli Stati Uniti erano in campagna elettorale. Il presidente Obama aveva dato disposizioni affinché si minacciasse sì Assad, ma facendo capire che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti. Perché Obama voleva essere, e sarà, il presidente che è stato capace di porre fine a due guerre, quella in Iraq e quella in Afghanistan.
Linea rossa. E così è arrivato un periodo in cui Iran e Russia hanno approfittato della “debolezza” americana e sono andati a braccetto con Assad; contemporaneamente l’opposizione, sulle prime laica e democratica, è stata a poco a poco invasa dai jihadisti. Si è arrivati quindi alla lotta finale, contraddistinta da un incredibile settarismo, alla quale assistiamo impotenti. E che volge sempre più in favore del dittatore. Il 2013 poteva rappresentare, per coloro che volevano fermare Assad, l’occasione di un ultimo sussulto. È la storia della famosa “linea rossa” tracciata da Obama, superata la quale noi, statunitensi ed europei, eravamo tenuti a intervenire. La “linea rossa” era l’utilizzo di armi chimiche. Però queste armi sono state usate per la prima volta nell’aprile 2013: non è successo niente, tranne le proteste di rito. Poi è arrivata una seconda volta. E alla fine di quello che convenzionalmente – e con grande educazione – viene definito un disastro diplomatico, è stato proprio Putin a offrire una via di uscita a Obama. Ricordiamoci che quando è avvenuto il nuovo superamento della “linea rossa”, americani, francesi e britannici avevano deciso di intervenire. Non per lanciarsi in una nuova guerra all’Iraq, come voleva far credere chi era assolutamente contrario a una reazione forte, ma più semplicemente per punire, colpendo obiettivi mirati, il nuovo atto di barbarie. Sappiamo com’è andata: gli inglesi hanno fatto marcia indietro quando il Parlamento ha rifiutato qualunque tipo di intervento armato. I francesi sono rimasti spiazzati, proprio quando era tutto pronto dal punto di vista militare, all’annuncio di Obama, che di fatto rinunciava (mascherandosi dietro la necessità di passare dal voto del Congresso). Ed è stato quel punto che Putin ha offerto una via uscita dalla crisi, obbligando Assad a non usare più le armi chimiche.Il risultato è stato che, così facendo, il presidente siriano ha rafforzato la sua posizione. Ormai la Russia gli ha messo a disposizione un vero e proprio ponte aereo e marittimo, e i pasdaran iraniani, con l’aiuto di Hezbollah (sotto il controllo di Teheran) gli garantiscono le truppe necessarie per continuare a governare.
Di rimbalzo osserviamo quanto segue: se l’Occidente non fosse stato tanto debole sul fronte siriano, Putin di certo non sarebbe stato in grado di avanzare così rapidamente in Ucraina. Da perfetto “Homo Sovieticus”, il presidente russo valuta sempre con attenzione i rapporti di forza. Non avrebbe mai rinunciato alla Crimea, vista l’importanza strategica della base di Sebastopoli – mai messa in dubbio dagli ucraini – ma la rapidità, la violenza e l’uso della forza militare in Crimea, malgrado il grottesco sotterfugio di spedirvi i suoi paracadutisti senza segni distintivi, è legata all’assenza di qualsiasi tipo di reazione americana ed europea di fronte al dramma siriano. Perché mai Putin dovrebbe privarsi della libertà d’azione che gli viene offerta su un piatto d’argento?