Danilo Mainardi, Corriere della Sera 28/3/2014, 28 marzo 2014
LE RESTRIZIONI SUL COMMERCIO D’AVORIO SEVERITÀ PER PROTEGGERE GLI ELEFANTI
Solleva una questione su cui merita soffermarsi l’articolo apparso ieri sul New York Times «The wrong way to protect elephants», il modo sbagliato per proteggere gli elefanti. In esso si sollevano dubbi sull’efficacia delle nuove pesanti restrizioni volute dal presidente Obama per combattere l’odioso commercio dell’avorio che ha sterminato negli anni popolazioni di elefanti africani. Si ritiene infatti che le ultime norme possano gonfiare il prezzo dell’avorio favorendone il commercio illegale. C’è forse una parte di ragione in quanto sostenuto dagli autori Godfrey Harris e Daniel Stiles dell’International Ivory Society (ma non c’è conflitto di interessi?), ed è quella che si chiama sempre in causa per ogni proibizione: più una cosa è vietata più è voluta .
Non è questo il tempo però di abbassare la guardia, di fare concessioni o eccezioni a una battaglia combattuta da un sempre maggior numero di Paesi, se pur con modalità, tempi e risorse diversi. Non esistono infatti modi sbagliati (wrong ways) nella conservazione di una specie. Di sbagliato c’è solo consentire ancora stermini per il possesso di un oggetto di avorio, col suo costo elevato non solo di vite di elefanti, ma dell’ambiente tutto. Al contrario le maggiori restrizioni proposte hanno ragioni forti perché gli elefanti, oltre alla fame d’avorio che li sta facendo estinguere, hanno difficoltà sempre maggiori a causa della riduzione e frammentazione dell’habitat e per il crescente impatto antropico. Tutto ciò sicuramente impone di mantenere alto il livello d’attenzione .
Risale al 1989 il simbolico rogo di un enorme cumulo di zanne di elefanti fatto in Kenya da Richard Leakey, quando venne deciso il bando del commercio d’avorio. Fu trasmesso da tutte le televisioni del mondo e certamente molti ancora lo ricordano. Il bracconaggio però è purtroppo ancora forte e il commercio fiorente. Molti Paesi, è importante rilevare, investono sempre più sull’educazione della conservazione (come del resto si auspica nell’articolo del New York Times ), e sarà verosimilmente una sapiente miscela di cultura protezionistica e di repressione l’arma vincente.