Piero Colaprico, la Repubblica 27/3/2014, 27 marzo 2014
LA VERITÀ SU MIA FIGLIA CHE ALBERTO NON VUOLE DIRE
[Rita Poggi]
GARLASCO (Pavia).
Finalmente, dopo sette anni, faranno gli accertamenti che chiediamo. Siamo grati alla Cassazione, hanno compreso che se si mettono insieme tutti gli indizi, anche quelli sinora negati, la verità potrà venire fuori. Mia figlia è stata colpita qui», dice Rita Poggi, mamma di Chiara, 25 anni, uccisa a Garlasco, la fidanzata dell’enigmatico Alberto Stasi. Siamo nella villetta che è anche la «scena del crimine». L’arredo, gli oggetti, il colore dei muri ci riportano indietro nel tempo, a due giorni prima del Ferragosto 2007, quando l’imputato Stasi chiamò i carabinieri, disse di essersi preoccupato perché non riusciva a rintracciare la fidanzata. A suo dire entrò ed uscì dalla casa invasa dal sangue senza imbrattarsi le scarpe. Senza nemmeno toccare la sua ragazza. Una tragedia che ha diviso l’opinione pubblica, e divide ancora il mondo dei detective.
Chiara è stata colpita «qui», in questa villetta bianca di Garlasco dove voi, mamma, papà e fratello minore siete tornati a vivere...
«Dove il tavolo della cucina ha tre sedie perché una, la quarta, è ancora sotto sequestro. Le foto di Chiara sono là, dove stavano. Ma dove potevamo andare, se non qui, dove mia figlia continua a darci la forza. Se sono serena, è perché Chiara mi dà la forza di esserlo».
Ha mandato via marito e figlio perché vuol sentirsi più libera di parlare senza ferirli.
«Per esempio, adesso che è primavera, Chiara stava là sul divano, accanto al caminetto, e io qui, che l’ascoltavo: “Guarda i fiori della magnolia, che belli”. “Papà, quando tagli l’erba, mi lasci le pratoline?”. Ma scusi, lei è venuto a trovarci per rivedere...».
La scena sembrava più grande, dalle foto della Scientifica. Invece, è tutto in pochi metri, suddivisi in quattro parti. La prima fase avveniva sotto queste scale, che portano di sopra, giusto?
«Esatto,quac’eralaprimamacchiadi sangue sul pavimento, è dove Chiara stata colpita la prima volta. Se viene avanti, qui sul muro c’erano alcuni schizzi, il segno di un altro colpo, mentre tentava la fuga, povera figlia. E qui, davanti alle scale che portano in cantina, la chiazza più vasta, più densa. Finalmente, se i giudici rispettano la Cassazione, come dice il nostro avvocato Gianni Tizzoni, potremo capire come sia stato possibile per Alberto non calpestarla. E là in basso — dice mamma Rita aprendo la porta a soffietto — sui gradini verso la cantina, c’era Chiara.
Dev’essere scivolata di due, o tre gradini, ci hanno detto i periti, per la forza di gravità e…».
Lei, poco prima, ripeteva l’avverbio «finalmente».
«Perché finalmente tutti noi potremo capire, perché quando ci si trova davanti a una ragazza uccisa, bisognerebbe fare tutto il possibile. Chiara aveva in pugno un capello, abbiamo chiesto l’analisi, una cosa che costa 200 euro, e ce l’hanno negata. Anche Alberto Stasi, che nei processi non ha mai parlato, mai s’è fatto interrogare, tramite i suoi legali s’è opposto, e questo non mi torna. Ah, verifichi sulle carte giudiziarie quello che le dico, non sono abituata a parlare. Come capisco i genitori di Yara, la ragazza di Brembate, e il loro voler rimanere in totale silenzio... Hanno altri figli e anch’io ho un figlio che non vuole più vedere i telegiornali».
Quante volte è stata su queste scale piccole e strette, signora?
«Ci sono ancora macchioline, piccolissime, sacche, segni, io pulisco la scala, e vedo, scendo. Il sangue di mia figlia era qui, ed era là».
Stasi aveva detto di essere entrato in casa grazie alla porta non chiusa, infine di aver provato ad aprire la porta a soffietto, ma a fatica, e di aver visto il corpo, ma non il sangue.
«Noi abbiamo proposto di fare qui, a casa nostra, la prova scientifica. C’è anche un professore torinese che ha fotografato tutto quanto, a grandezza naturale. E invece l’esperimento non è stato fatto come chiedeva il gip».
Vista la scena dal basso della scala, dove stava Chiara, sembra realmente impossibile avvicinarsi senza sporcarsi di sangue
le suole.
«Anch’io, come lei, mi sono affacciata dal gradino dove il corpo, scivolando, s’è fermato. E da là, non si vede la porta. Lei la vede?».
Non si vede.
« Ecco. Noi non vogliamo crocifiggere nessuno, ma bisognerebbe saper volare, per non sporcarsi le scarpe di sangue e per non lasciare nemmeno un’impronta. Quindi, come ha fatto Stasi? Vorrei chiederglielo. E poi come ha potuto dire, stando in alto, che Chiara “era pallida”? Quando l’ha vista? Perché Chiara, in realtà, tutto era, meno che pallida. Aveva i capelli lunghi che le coprivano il volto, e il volto era sporco del sangue colato».
I processi purtroppo non sono semplici come nei telefilm...
«Mia figlia, quando Alberto, suo fidanzato, era a Londra, era andata a trovarlo. Ora, a me come mamma fa impressione sapere che mentre erano insieme, sulla ruota panoramica, il fidanzato fotografava di nascosto i piedi e altre parti delle varie ragazze che incontrava. Il porno non è reato, ma sono state trovate nella memoria del computer, dentro migliaia e migliaia di immagini, catalogate sotto voci che non voglio ripetere (le elenchiamo noi per il lettore: «grosse tette», «violenze», «anziane», eccetera, ndr). Per di più, la sera prima della morte, è accaduto un fatto che ci sembra importante. Stasi esce per prendere le pizze e mia figlia gli apre il computer, in dieci minuti visiona molte cartelle».
Ma si sa se apre la cartella porno?
«Non possiamo avere la certezza che apra quella chiamata “militare”, perché i carabinieri hanno sbagliato la perizia. Si rende conto? Quello, per me, può essere il movente. Se all’inizio, dentro di me, rifiutavo la colpevolezza di Alberto, adesso dico: “Ma perché si è opposto agli accertamenti?”».
Quali volete?
«Si è opposto all’analisi del capello, all’analisi della bicicletta da donna, che un testimone ha visto appoggiata al mattino, davanti casa nostra. Si è opposto alla prova sui gradini di casa.
Si è opposto ad analizzare con un nuovo metodo le unghie di mia figlia, per cercare meglio materiale organico. Sono accertamenti che chiediamo da sempre, e alla fine...».
State dunque contando i giorni sino al nuovo processo, il 9 aprile?
«Sì, non ci siamo persi un’udienza e adesso c’è la possibilità reale di capire chi ha ucciso nostra figlia, una ragazza assennata, bravissima. Che non mi dava preoccupazioni. E non meritava di morire così presto, così male. E di restare senza giustizia, sinora».