Francesco Merlo, la Repubblica 27/3/2014, 27 marzo 2014
LE TRIBÙ DEI SEPARATISTI
A CHI le Tremiti? Se le contendono la Moldaunia libera, il Salento indipendente e persino la Repubblica del Sannio. Non c’è insomma solo il Veneto, con i suoi referendum, e non sono solo folclore i diecimila internauti che vorrebbero vendere la Sardegna alla Svizzera.
AL PREZZO di 90 miliardi di euro il primo cantone marittimo, il ventisettesimo della Confederazione. C’è anche lo straziante problema: a chi le Tremiti? Forse alla Moldaunia dell’ingegnere Gennaro Amodeo a cui il Tar ha negato il referendum e che ora, arrabbiato come un dhauno, cioè un ‘lupo’, mi dice: «Lo hanno permesso in Veneto, a Piacenza, nelle Marche…, tranne qui a Foggia dove sono succubi della politica barese e della massoneria». La Moldaunia verrebbe fuori dall’unione del Molise più la Daunia, che è quel pezzo di Puglia foggiana che va da Cerignola sino alla porzione irpina di Benevento.
Alle Tremiti aspirano anche i romantici indipendentisti di quel ‘Salentu lentu lentu’ — Lecce Taranto e Brindisi — «che il traditore leccese Aldo Moro svendette a Togliatti» dice l’editore di Telerama Paolo Pagliaro. Il Salento «non è Italia e neanche Puglia / questo è un pizzo gettato in mare / è una frisella / è acqua e sale» (nu ghe Italia e nu è mancu Puglia, / quistu e nu pizzu calatu a mare / è na friseddra... ghe l’acqua e sale) canta Mimmo De Santis, il ‘De André di Tuglie’.
Come si vede, sono, come sempre, pittoreschi e umorali i separatisti italiani che al Sud e al Nord sognano la Catalogna, la Scozia e magari anche la Crimea e l’Irlanda. La grande novità è che si moltiplicano grazie all’effetto Internet. E i campanili svettano più alti nel web, dove ogni monade trova la sua finestra: la Rete espone e al tempo stesso nasconde, tutti gli estremismi hanno visibilità e impunità. Così gli econazionalisti lombardi di Domà Nunch (Solo noi), che si ispirano agli irlandesi di ‘Sinn Féin’ (la faccia politica dell’Ira) hanno sospeso l’attività ma non nel web dove si esprimono in un lombardo posticcio, proprio come i personaggi di Camilleri si esprimono in un siciliano posticcio: «Domà Nunch crede che i tòcch de Insubria che adess hinn divis fra Lombardia Piemont e Svizzera dovarian vess unificaa anmò».
E’ vero che solo al Nord i separatismi diventano danaro e far west, guardie padane, sindaci, imprenditori. Ma chi se la sente di dire che i neoborboni, che sabato scorso si sono riuniti a Civitella del Tronto in provincia di Teramo, sono più strampalati di ‘Terra Insubre’, ‘Brescia patria’, ‘300 lombardi’, ‘Confederazione ribelle’, ‘CoLoR44, ‘Tea Party Lombardia’? Certo, su Internet sembrano davvero due milioni i veneti di Gianluca Busato, quello dei referendum: «Dal Canal Grande al balcone di Giulietta un sì dal Veneto per tagliare il legame con Roma». Ma forse anche i duecento militanti di Civitella del Tronto sarebbero sembrati due milioni — un popolo, il popolo della Rete — se il loro raduno non fosse stato fisico ma virtuale. La Rete traveste da esercito anche i più piccoli manipoli, e le marcette separatiste diventano oceaniche secessioni: «Eppure ho visto — mi racconta Gaetano Marabello, attivista neoborbonico — sotto la pioggia sventolare bandiere venete, delle Due Sicilie, un paio di bandiere degli Abruzzi, dello Stato Pontificio, persino della Toscana». E’ appena nato il partito indipendentista ‘Toscana Stato’.
E però più selvatiche e combattive arrivano sino all’Adriatico e sino al Tirreno le tribù dei sanniti che si scoprirono leghisti e secessionisti nel 2010 quando i comuni di Benevento, Avellino e Caserta rifiutarono la spazzatura di Napoli e ora si dicono pronti ad espandersi sino a metà dell’Abruzzo, inghiottendo Isernia e Campobasso dove il grido di battaglia è quello del leader indipendentista Giovanni Muccio: «Chi ha spostato la statua del guerriero sannita dalla piazza della Vittoria?». Il Sannio batterà moneta, il Safinim (equivalente osco di Samnium), con il toro sannita che calpesta la lupa di Roma. Ed è il Sannio senza ambulanze e senza amministrazione, quello stesso che si affida alla Di Girolamo e a Mastella. E’ l’entroterra dei fattucchieri e dei frati, del padre Pio di Pietralcina che portò il Sannio nel Gargano (san Giovanni Rotondo). Sulla carta è una linea obliqua, una tangente d’Italia povera e mattoide: separatismo senza portafoglio. Nel Veneto il secessionismo è sonante mentre questo è patetico: il fatturato al nord e il pathos al sud.
I movimenti veneti sono almeno 12, da Plebiscito alla Liga, e poi Autonomia, Indipendenza, Repubblica Veneta, i Serenissimi, Progetto Nord-Est... Proprio come al sud, anche in Friuli e Alto Adige gli esagitati spacciano il nativismo per cultura: ”Parché a nostra cultura ve fa tanta paura?”. Ebbene, provate, nel brano seguente, a cancellare l’aggettivo inadatto (siciliano/ veneto) e a indovinare se è di Fabrizio Comencini (Liga Veneta) o di Gennaro De Crescenzo, neoborbonico: «Se Goethe nel suo viaggio in Italia descrive con ammirazione la terra (siciliana / veneta) la sua ricchezza, l’affabilità del popolo, pochi decenni più tardi, dopo l’annessione al Regno sabaudo, iniziarono tempi di tragica povertà e la grande diaspora del popolo (siciliano / veneto), con milioni di uomini e donne costretti ad espatriare: siciliani/veneti americani, siciliani/ veneti brasiliani, siciliani/ veneti argentini, siciliani/veneti cileni, siciliani/ veneti canadesi, siciliani/veneti australiani, ancora oggi, ovunque siano, innanzitutto e soprattutto sono siciliani /veneti».
Siciliano o veneto che sia, il fenomeno tutto intero è malumore autoconsolatorio, l’identità contro la disfatta epocale, il nativismo contro la nazione che sembra morente, il calcio dell’asino all’odiata Roma. E però, nella cartografia delle micro secessioni, rimane povera e sola anche «la viziosa Bari», odiata quanto Roma dai sanniti, dai salentini e dai maldauni: «la Bari mangiasoldi», «la baia a luci rosse del sesso, della malasanità, degli scandali e delle mazzette». A parziale risarcimento, nella cartografia macrosecessionista, Bari diventa laboratorio. Aspira infatti alla poltrona di sindaco Michele Ladisa che, in questa saga della secessione, pensa di essere Frodo, l’hobbit Signore degli anelli. E’ il candidato unitario di almeno due organizzazioni distinte: ‘Insorgenza civile,’ che è un altro modo di chiamare il brigantaggio «che è brigantaggio — mi dice Ladisa — solo perché la storia l’hanno scritta i vincitori»; e il Movimento duo siciliano, che si rifà al territorio del regno delle due Sicilie, «ma non siamo monarchici e neppure necessariamente separatisti: vogliamo unire il Grande Sud e rinegoziare tutto con gli invasori». Ladisa, che di professione dice di essere «sindacalista degli inquilini», sta cercando l’accordo con il Movimento meridionale di Francesco Tassone, un ex giudice di Vibo Valentia; con l’Unione Mediterranea di Marco Esposito, ex Italia dei valori ed ex assessore della Giunta De Magistris che ha scritto il libro “Separiamoci”; con i comitati delle due Sicilie di Fiore Marro di Caserta; con Insorgenza civile di Napoli che fa capo a Nando Dicé e a Raffaele Colucci, sindaco di Sirignano, 15000 abitanti, provincia di Avellino: «Siamo stanchi di subire. Insorgere è giusto e per me non è solo uno slogan.»
A Ladisa piacciono pure Adriana Poli Bortone (Io sud) e Raffaele Lombardo che però in Sicilia è stato condannato per concorso esterno alla mafia, riportando dunque il nativismo sicilianista e separatista alla sue origini di controllo criminale del territorio. I testi di riferimento della secessione sono, mi conferma Ladisa, «innanzituto i libri dei giornalisti Pino Aprile e Lino Patruno». Come si sa, sostengono che lo Stato italiano ha saccheggiato, ucciso e devastato peggio di Pol Pot.
A nord come al sud la nostalgia di fantasiosi paradisi perduti invita dunque la plebe, come sognava Bossi, a gettare il tricolore nel gabinetto e l’infelicità italiana si disperde in un inferno di sigle separatiste, movimenti, leghe… E Beppe Grillo, che in Rete prova quanto Manzoni avesse torto a difendere gli untori, diventa secessionista: « L’Italia è un’arlecchinata di popoli, lingue, tradizioni che non ha più ragione di stare insieme». Commenta l’Indipendenza.it, quotidiano leghista on line: «E Roma trema». L’effetto comico è involontario.