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 2014  marzo 27 Giovedì calendario

FORZA ITALIA COMPIE 20 ANNI BERLUSCONI: IO NON FESTEGGIO


L’ANNIVERSARIO
ROMA «Festeggiare? Non c’è niente da festeggiare». Parola di ex Cavaliere. «Festeggiare? Che cosa dovrei festeggiare? Il fatto che il 10 aprile i giudici vogliono mettermi in cella?». Il mood è questo. Il partito è in preda al caos. Lui agli arresti domiciliari non sta, forse non ci starà neppure dopo il 10 aprile quando verrà decisa la forma della sua pena ma quelli del suo partito - che lo vedono strano e lui non li vuole vedere più, anche se stasera lo farà, convocando il neonato comitato di presidenza di Forza Italia - lo considerano prigioniero del «cerchio magico». Insomma di Francesca Pascale e delle sue amiche, più Toti e Fiori, il consigliere politico e il capo dei Club Forza Silvio. E insomma: «Berlusconi sta troppo tempo chiuso in casa», è la maniera elegante di Claudio Scajola, per sottolineare che vent’anni fa c’era il partito-azienda, poi c’è stato il lungo tentativo di creare un partito-partito (anzi, due o tre: contando oltre a Forza Italia anche il Pdl e la ri-Forza Italia) e adesso nel giorno della festa mancata c’è una specie di partito-famiglia che non decolla (Marina non vuole darsi alla politica, Pier Silvio neppure, Barbara sì ma se arriva lei insorgono gli altri familiari e quel che resta dell’organizzazione vigente) e un partito-fidanzata che invece funziona. O comunque è ciò che c’è. Con Francesca nei panni che furono di Alfano (segretario politico), Maria Rosaria Rossi in veste di capo dell’organizzazione (lì dove c’era Denis Verdini e c’era stato Scajola), Toti come Seedorf (uomo della provvidenza a cui tocca dare altro tempo perchè nè il ct rossonero nè l’ultimo acquisto azzurro stanno facendo miracoli e «la bacchetta magica ce l’ho solo io», ribadisce Silvio) e Marcello Fiori, che fu rutelliano ai tempi del Giubileo (ma «a me i comunisti hanno sempre fatto simpatia», assicura il presidentissimo). Ma è qui la festa? Macchè.

SLOGAN
Nel ’94, «Forza Italia è libertà», diceva lo slogan. Oggi, l’ex Cavaliere che stupì il mondo fondando un partito al volo e vincendo le elezioni dopo due mesi dalla «discesa in campo» (e fu il «glorioso 27 marzo» e lo «spirito del ’94» sarebbe diventato il totem della vittoria eterna) si esprime così: «Per colpa dei feudatari di Forza Italia, dei dirigenti interessati a se stessi e non al progetto, il nostro partito è ormai una prigione». I Club Forza Silvio sono invece diventati «la libertà». Ma davvero?
«Sono stanco dei vostri litigi. Se continuate, chiudo il partito». Così stasera, nella festa che non è una festa, Berlusconi dirà ai 67 maggiorenti che ha riunito nel comitatone dell’ufficio di presidenza. Siccome sono divisi in due fasce, i primi 30 hanno diritto di voto e gli altri no, la rissa intestina divampa. E comunque, visto che sono passati vent’anni dal varo del primo governo che annunciò la «rivoluzione liberale», un liberale come Giancarlo Galan, uno della prima ora, deluso ora come sono delusi tutti, scorrendo la lista commenta: «Siccome le rivoluzioni liberali si fanno con i liberali, non vedo noi come possiamo farla più. Che fine hanno fatto i liberali di Forza Italia?». Il rimpianto su che cosa si sarebbe potuti essere e su come non si è riusciti a diventare è lo spirito amaro di questo ventennale non celebrato. Si è smarrita la pesante leggerezza con cui Berlusconi - l’alieno, il dreamer - sbaragliò «i comunisti» dicendo tra l’altro che «anche gli arbitri sono comunisti, perchè hanno tolto due scudetti al Milan». Si è smarrita una storia - ma è diventata Storia - che ha avuto ai suoi esordi una ritmo fulminante.

IL PAZZO E I CAMERIERI
Videocassetta («Scendo in campo»), campagna elettorale breve («Liberaldemocratici, vi chiamo alle armi»), trionfo del Polo della libertà e del buongoverno il 27 marzo del ’94 con il 42,9 per cento dei voti (la Dc, per fare un esempio, dello choc nazionale aveva 206 deputati prima di quella data e dopo il voto rientrò in Parlamento con appena 46 seggi), 25 aprile di tutta l’Italia di sinistra in piazza a Milano, sotto la pioggia, per organizzare la «nuova Resistenza» e fermare il «Duce di Arcore» attorniato da fascisti liberando di nuovo il nostro Paese dalla «dittatura» (in fieri), 27 aprile l’incarico di Scalfaro a Berlusconi perchè formi il suo governo e insomma: tramonta una Repubblica, ne nasce un’altra dal tratto monarchico (la reggia di Arcore come luogo istituzionale) e volutamente dilettantesco («Ma io imparo tutto subito, anche la politica»), destra ex o post fascista sdoganata, leghisti al potere, «gioiosa macchina da guerra» della sinistra occhettiana frantumata e «ha vinto il pazzo!», protestò Indro Montanelli. «Ci vuole tutti suoi camerieri», osservò il mesto Mino Martinazzoli, che i berluscones arrembanti - nei loro blazer e nel loro idioma aziendalistico privo di arcaismi cattolici o comunisti e guai se a uno cresceva la barba o puzzava l’alito - soprannominarono Crisantemo.
«Ma che vuol fare dell’Italia?», chiese uno dei suoi ministri Giuliano Ferrara al Cavaliere-premier. E lui: «Una grande Fininvest». Oggi, alla stessa domanda, l’ex Cavaliere forse non saprebbe più che cosa rispondere.
Mario Ajello