Vittorio Sabadin, La Stampa 27/3/2014, 27 marzo 2014
IL NECROLOGIO? MEGLIO SCRIVERLO DA SÉ
L’attore James Rebhorn, famoso per «Independence Day» e per le serie tv «Law and Order» e «Homeland», è morto qualche giorno fa a 65 anni, di melanoma. Di solito, ai funerali, qualcuno pronuncia un discorso per ricordare i meriti della persona scomparsa, ma questa volta non è stato necessario.
Rebhorn aveva già scritto il proprio necrologio, un commovente testo dedicato a ringraziare i propri familiari e le persone che lo avevano aiutato nella vita che si concludeva con le parole: «Sotto ogni aspetto, sono stato un uomo fortunato».
Come Rebhorn, molti personaggi dello spettacolo e della cultura hanno già scritto il proprio necrologio e, in un’epoca dominata dai «selfie» e dalla continua esibizione di se stessi, è molto probabile che la tendenza si diffonderà. D’altra parte, se i defunti fossero in grado di ascoltare o leggere quello che si dice o si pubblica di loro, nella maggior parte dei casi non sarebbero d’accordo.
Spike Milligan, un geniale attore, commediografo e musicista inglese, si è deciso ad esempio a scrivere il proprio necrologio dopo essere riuscito a vedere, con la complicità di una redattrice, il «coccodrillo» che un giornale aveva preparato per lui. Era pieno di banalità e inesattezze, e per nulla divertente. «Era stato educato - scrisse invece Milligan per ricordare la sua carriera di comico - al Convent of Jesus and Mary, dove era il primo della classe e dove le suore, mentre era lì, hanno avuto 16 immacolate concezioni».
Anche Garry Trudeau, l’autore del fumetto di satira politica «Doonesbury», ha già preparato il proprio spiritoso «obituary» e spesso nelle conferenze ne cita qualche passo: «L’ex playmaker dei Knickerbockers Garry Trudeau è morto serenamente oggi nella sua abitazione dopo un delizioso pasto e una visita dei suoi pronipoti. Il signor Trudeau, che ottenne un iniziale modesto successo come cartoonist, è meglio conosciuto per il drastico cambiamento della sua carriera, avvenuto quando si presentò inaspettato all’allenamento dei Knicks».
Scrivere il necrologio di se stessi non serve solo a rendere meno drammatico il trapasso con battute di spirito o minimizzando il ruolo che si è avuto nella vita. In qualche caso è utile per confessare cose di cui non si ha mai avuto il coraggio di parlare. Il «Salt Lake Tribune», due anni fa, pubblicò l’«obituary» di un lettore, Val Patterson. «A proposito, ora che me ne sono andato: sono io il tizio che nel giugno del 1971 ha rubato la cassa al Motor View Drive Inn. E la laurea all’Università dello Utah l’ho avuta solo perché una impiegata ha messo nella scatola sbagliata un mio modulo di pagamento».
Quello che la gente comune scrive di se stessa per commemorarsi è spesso toccante. «The Independent» ha ricordato il congedo dal mondo di Elisabeth Sleasman, uccisa dagli abusi di droga e alcol: «Negli ultimi dieci anni non ho mai saputo dove sarei stata il giorno dopo, mi sono nutrita di rifiuti, ho chiesto l’elemosina e rubato. Ho dormito nei sottoscala, tra i cespugli e nelle auto abbandonate. Ora ho smesso, ma sono morta. Non aspettate così tanto come ho fatto io».
Per molti, l’auto-necrologio è un modo per ringraziare i famigliari per l’amore ricevuto, spiegare ai figli perché si è stati costretti a trascurarli da piccoli, cercare di focalizzarli su che cosa è importante. Ai figli Rebhorn raccomandava di non piangerlo troppo e di tornare presto alla loro vita, «perché, lo vedrete, il tempo vola via».