Mauro Suttora, Oggi 19/3/2014, 19 marzo 2014
GLI 007 SANNO PIÙ DI QUELLO CHE DICONO
Milano, marzo
Unica buona notizia: da noi un incubo così non potrebbe avverarsi. «Nei cicli europei bastano due minuti. Se un aereo non comunica più scatta l’allarme, e con satelliti e altri sistemi lo si localizza subito», assicura il comandante d’aereo Francesco DArrigo. Nelle immense zone oceaniche senza radar, invece, il controllo è impossibile. E così un Boeing 777 della Malaysia Airlines con 239 persone a bordo (12 d’equipaggio) è sparito nel nulla. Era decollato a mezzanotte dell’8 marzo da Kuala Lumpur, capitale della Malaysia, destinazione Pechino dopo sei ore.
Un tranquillo volo notturno, come migliaia di altri nel mondo a ogni ora. Nessuna zona pericolosa da attraversare, nessuna turbolenza meteo prevista sulla rotta. E invece, dopo l’augurio di buonanotte del comandante malese ai passeggeri (per metà cinesi), il silenzio. La mattina scattano le ricerche. Guasto, bomba? Tutte le ipotesi erano aperte. Tranne una: che il jet avesse volato di nascosto per altre sei ore. E che quindi fosse totalmente inutile cercare carcasse e detriti nella zona dell’ultimo contatto, sulla penisola di Malacca o nel Mare cinese.
Invece, proprio questa è l’incredibile verità. Che, ancora più incredibilmente, è saltata fuori soltanto dopo quattro giorni di ricerche infruttuose. E qui si apre un mistero nel mistero. È possibile infatti che qualcuno sappia dov’è l’aereo, sommerso nel mare, ma non lo dica per non rivelare quali capacità ha di vedere sottacqua. Le grandi potenze investono molto nelle tecnologie per scandagliare in profondità gli oceani, con aerei antisommergibile e satelliti. Però rivelano poco o niente delle capacità raggiunte. Se gli Stati Uniti sapessero dove si trovano i resti, dovrebbero nascondere la verità sui mezzi usati per fare la scoperta. Anche perché una volta resa nota l’informazione perderebbero la possibilità di scoprire se la Cina possiede già una capacità simile.
«È un’ipotesi da non escludere», dice a Oggi Nick Brough, esperto d aviazione, «perché ogni potenza militare vuole capire quali sono le conoscenze degli altri. Quindi per gli Usa è un’occasione ghiotta per saperne di più sulla Cina. Le lungaggini nella ricerca fanno pensare anche a ipotesi di disinformazione e depistaggio. Non per nascondere l’incidente, ma per camuffare le proprie capacità di sorveglianza sotto la superficie del mare».
Pochi lo sanno, insomma, ma sul nostro pianeta si sta svolgendo un sordo conflitto fra i servizi segreti di Stati Uniti, Cina, Russia, Gian Bretagna. E, in Asia, anche Giappone e India. È la guerra per il controllo degli spazi marittimi, ma anche aerei. Tutti vogliono conoscere tutto ciò che sta volando in ogni momento. Per questo ogni potenza si è dotata di sistemi satellitari globali. Esigenza legittima, soprattutto in tempi di terrorismo. I governi ci devono proteggere da ciò che ci può cadere addosso dal cielo. Meno comprensibile, però, è l’omertà in caso d’emergenza come questo.
Anche nei cieli, nessuno vuoi far sapere all’altro quante cose sa. E, soprattutto, come fra saperle. Per questo la notizia del “secondo tempo” del volo della Malaysia Airways è filtrata con quattro giorni di ritardo, e solo come indiscrezione del Wall Street Journal. È probabile che i veri tracciati dell’aereo fossero disponibili già poche ore dopo la scomparsa. Ma è difficile immaginare che Stati Uniti e Cina cooperino. Gli Stati Uniti potrebbero rivelare l’ubicazione dell’aereo, ma offrendo una spiegazione falsa sul come hanno fatto a scoprirle. I cinesi invece, con tanti loro cittadini persi, non possono procrastinare quanto gli americani. I quali, quindi, hanno un’occasione ghiotta per comprendere meglio le capacità cinesi.
Insomma, su quei 227 passeggeri e 12 membri d’equipaggio si stanno giocando partite enormi, che non possiamo neanche immaginare. I parenti si aggrappano alla speranza che l’aereo sia stato dirottato per nasconderlo in una pista dell’Asia, ed essere poi usato dai terroristi come pegno per un riscatto. Oppure che venga utilizzato per un volo suicida. L’unica cosa certa è che nei suoi serbatoi c’era carburante per sole otto ore di volo: le sei per Pechino più due di riserva. E, guarda caso, più o meno verso quell’ora, le otto del mattino, l’aereo dà ai satelliti l’ultimo bip (senza però indicazione geografica). Quindi, al momento in cui scriviamo, l’ipotesi più probabile è che l’aereo si sia inabissato nell’oceano Indiano per mancanza di carburante. Oppure che sia stato abbattuto dai caccia da guerra di un Paese del quale aveva violato gli spazi aerei. Dopo l’intimazione a identificarsi, infatti, in mancanza di risposta scatta 1’autorizzazione a colpire.
Ma chi avrebbe dirottato l’aereo malese? E perché? In sei ore, partendo dall’ultimo punto noto, quando i due piloti malesi hanno disattivato il transponder, si possono raggiungere zone lontanissime fra loro, dall’India al Kazakistan. L’unica cosa certa è che è stata una mano esperta a prendere il controllo dell’aereo quando è entrato in clandestinità. Uno dei due piloti, o terroristi riusciti a varcare la porta blindata della cabina di comando?
IL POLITICO CONDANNATO PER SODOMIA
Ogni giorno saltano fuori particolari sulla vita privata dei due piloti e dei passeggeri. Il comandante Zaharie Ahmad Shah era un attivista fanatico del capo dell’opposizione malese, Anwar Ibrahim, appena condannato a cinque anni per sodomia. Secondo i suoi seguaci è stato un processo farsa del regime, e i parenti del comandante dicono che lui sembrava sconvolto. Inoltre i due piloti avevano chiesto di non volare più insieme, dopo un misterioso litigio. Infine, altro particolare inquietante: il comandante ha parlato con i controllori di volo (All right, goodnight, tutto bene, buonanotte, sono state le ultime parole) solo dopo la chiusura dei segnali.
In ogni caso, le giravolte compiute dall’aereo subito dopo la perdita dei contatti dimostrano che c’era una chiara intenzione di sfuggire agli ultimi controlli radar di terra per dirigersi a Ovest, verso le isole Andamane. Prima l’aereo è salito a una quota proibita per i Boeing 777, poi improvvisamente è sceso a un’altitudine troppo bassa, col chiaro scopo di confondere i radar.
«Ma è surreale che un aereo di quelle dimensioni, seppure di notte e sull’oceano, sparisca nel nulla per sette ore, senza che nessuno l’abbia cercato e “tracciato”», dice il comandante Danilo Recine. «Un jet lungo e largo 60 metri può “sparire” per qualche minuto, non di più». Forse non ci resta che credere in un intervento degli Ufo.