Maria Novella De Luca, la Repubblica 27/3/2014, 27 marzo 2014
UN PAESE SENZA TRENTENNI
Astenersi a dire che sono in via d’estinzione, ossia il più scarno gruppo di giovani sul pianeta Terra, rispondono inevitabilmente con una battuta: «Se ci pagate siamo pronti a moltiplicarci, del resto l’hanno fatto anche i panda». Poi però, seduti tra i vialetti dell’università “La Sapienza” di Roma, tra alberi fioriti e marciapiedi sconnessi, sezionano con perizia e disincanto la loro età giovanile. O quel che ne resta, nella desertificazione progressiva di un mondo di bambini e ragazzi che si fa ogni giorno più esiguo. In una nazione, l’Italia, che è diventata ormai il Paese (quasi) più vecchio delmondo.Piùgrigiodinoic’èsoltanto il Giappone, mentre la Germania ci precede di poco, in una sorta di ricostituito asse Roma-Berlino-Tokyo, così lo definisce scherzosamente con echi guerreschi il demografo Gian Carlo Blangiardo. Triplice (e casuale) alleanza di culle vuote e figli unici che nella classifica dei Paesi con il numero minore di “under 30” secondo i dati dell’ “United States Census Bureau”, afferma che in Italia i giovani da zero a 29 anni, cioè la vera classe del futuro, sono il 29,4% della popolazione complessiva. Cioè ultimi in Europa, penultimi nel mondo.
È come se fosse scomparso un pezzo di società, quella fetta di “meglio gioventù” degli ultimi figli dei baby boomers, dell’Italia dove l’ascensore sociale funzionava ancora e la laurea aveva un senso. Il saldo, in rosso, di tre decenni di culle vuote, di natalità in picchiata, di politiche sempre più ostili alla maternità, della speranza che forse è andata via dal cuore. Ecco allora le voci “di dentro”, come quella di Arianna, che ha 23 anni, sta per laurearsi in Fisica, e dice di sé di essere figlia unica, molto fortunata e molto testarda. Seduta in un’aula vuota con il neon acceso nell’ora di pausa, spiega come ci si sente ad appartenere ad un gruppo sociale a rischio di scomparsa. «Ho due genitori che mi hanno concepita a oltre quarant’anni e quattro nonni ottantenni incredibilmente attivi, per laurearmi in tempo ho fatto una corsa incredibile, ma ho già una borsa di studio per Boston. Tutte le risorse della mia famiglia sono state investite su di me. Un peso e una responsabilità pazzesca. I miei amici ed io siamo in gran parte figli unici, su di noi i riflettori sono sempre accesi. Perché siamo pochi, se ce ne andiamo, perché non facciamo figli. Ma vedete forse un’alternativa, voi adulti?».
Difficile rispondere, quello che Arianna tratteggia con acutezza infatti è simile a ciò che spiegano i demografi, e cioè che la desertificazione attuale della giovinezza in Italia è la somma di due fattori precisi: il calo demografico e l’allungamento straordinario della vita media. A cui oggi si aggiunge il fenomeno delle migrazioni giovanili, nel 2012 sono fuggiti dal nostro Paese circa 80mila italiani, di questi il 44,8 per cento tra i 20 e i 40 anni. «Il sorpasso dei nonni sui nipoti c’è già stato, in meno di 10 anni assisteremo al sorpasso dei bisnonni sui pronipoti », descrive Gian Carlo Blangiardo, professore di Demografia all’università Bicocca di Milano. «Già oggi il mondo è diviso tra i Paesi del G8, cioè il vecchio mondo, ei“Brics”,cioèBrasile,Russia, India, Cina e Sudafrica dove la natalità cresce. Un paese senza giovani vuol dire minore capacità produttiva, e se non si agisce la bomba dell’invecchiamento graverà in modo insostenibile sulle spalle di pochi under 30». E senza scendere in scenari apocalittici, Blangiardo dice che basterebbero politiche più family friendly.
«C’è un piano per la famiglia che giace nei cassetti della presidenza del Consiglio. Chissà se il premier Renzi deciderà di prenderlo in mano, e di investire sul capitale umano del futuro dell’Italia».
Appunto. Il capitale umano. Quello che Carlo e Giulia, studenti di Scienze Politiche, affermano essere stato fatto a pezzi dagli ultimi governi, una vera e propria rapina del loro futuro. «Ormai siamo soggetti da antropologia culturale, studiati come le tribù degli aborigeni», dicono mentre lavorano ad un nuovo striscione con scritto “salario minimo”, no-
nostante l’apparente pax politica dell’università. «Che l’Italia sia il Paese più vecchio del pianeta è sotto gli occhi di tutti, basta vedere chi occupa posti e poltrone, e a noi non vuole lasciare nemmeno le briciole. Giulia ed io stiamo insieme da tre anni — ragiona con amarezza Carlo — e ogni tanto ci chiediamo come potrebbe essere la nostra vita con un figlio. La verità è che non sapremmo cosa dargli da mangiare. Certo, potremmo farci aiutare dai nostri genitori, felici magari di diventare nonni. E forse, chissà, finirà così...».
Strategie, prove di sopravvivenza. Ma nei giovani bisogna credere, dice Linda Laura Sabbadini, direttore delle statistiche socialieambientalidell’Istat.«La questione giovanile è stata sempre troppo drammatizzata. Prima della crisi i ragazzi venivano accusati ingiustamente di essere bamboccioni, adesso vengono bombardati dicendo che non avranno futuro. È un clima paralizzante, ed è difficile così per loro credere nel futuro quando la voce unanime è che il futuro non c’è. Non voglio sottovalutare la gravità della crisi che documentiamo ogni giorno con i dati Istat, ma non possiamo sempre dire che è la peggiore nella storia del nostro Paese. È vero: sono pochi, figli di un perdurante calo della natalità, e si ritroveranno a dover pagare le pensioni di un enorme numero di anziani. Ma le opportunità possono essere trovate. Bisogna non rinunciare ai propri sogni, non fermarsi, e aiutati da politiche adeguate, proprio i giovani ce la potranno fare e portare il paese fuori dalla crisi».
E Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, sispinge più inlà:«Non è solo un problema di welfare. Il calo demografico riguarda Stati diversissimi tra loro, più ricchi, meno ricchi. La verità è che oggi
l’antropologia della nostra felicità è fatta di soggettività, di individualità più che di comunità. E le politiche sulla natalità servono a poco se non torna il desiderio di mettere al mondo dei figli».