Carla Bardelli, Vanity Fair 26/3/2014, 26 marzo 2014
VIVERE SENZA YVES
LA LORO STORIA D’AMORE è diventata un film che sta facendo il giro del mondo. Peccato solo che il protagonista, Yves Saint Laurent, forse il più grande stilista del ventesimo secolo, non possa vederlo. La sua morte, sei anni fa, ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo della moda, ma soprattutto nel cuore di Pierre Bergé, l’uomo d’affari che lo ha amato per cinquant’anni.
Nel biopic Yves Saint Laurent di Jalil Lespert, nei cinema italiani dal 27 marzo, sfilano, scena dopo scena, i loro momenti più intimi, dal primo bacio appassionato a Parigi, sul Lungosenna, ai tradimenti, alle visite in manicomio, ma anche le litigate e le riconciliazioni, le feste e lepartouze, e soprattutto la loro grande avventura creativa. Indissolubilmente legati da un rapporto di passione e di sesso, ma anche da una potente alleanza economica, Yves Saint Laurent e Pierre Bergé sono riusciti a completarsi a vicenda.
Il primo, lo stilista, geniale e sregolato, sempre in bilico su una fragilità psichica che lo ha portato verso eccessi di tutti i tipi. Il secondo, l’uomo d’affari, così freddamente razionale da essere soprannominato «il pitbull della moda francese», per il suo aspetto autoritario e le collere epiche. Ma anche riservato: il vissuto di Pierre Bergé è sempre rimasto avvolto da un velo di discrezione e mistero. Oggi, però, a 83 anni, molto meno aggressivo ma sempre bulimico di vita e avventure, ha accettato di raccontarsi e ricordare liberamente la sua grande storia d’amore.
Perché ha deciso di farlo?
«Nell’era di Internet non ci sono più segreti per nessuno: perché dovrebbero essercene per Yves Saint Laurent e Pierre Bergé? Sono sempre stato contro qualsiasi tipo di censura, accetto che si parli di noi, ma vorrei precisare che la realtà ha molte facce, anche se nel film di Jalil Lespert ritrovo molto della mia vita. Non bisogna dimenticare che la maggior parte del tempo io e Yves lo abbiamo passato a lavorare. Le feste, gli eccessi, sono solo una parte di quello che abbiamo vissuto».
Avete fondato un impero sulla vostra intesa sentimentale e sessuale. Una realtà che fa inorridire gli anglosassoni: per loro è tabù mescolare affari e vita privata.
«Hanno torto, soprattutto per quanto mi riguarda. Perché non costruire insieme alla persona che si ama? Forse non è sempre facile, non lo è stato neanche per noi, ma alla fine non rimpiango niente. È anche vero che avvolte non è possibile amarsi per cinquant’anni com’è successo a noi. E gli affari hanno bisogno di alleanze stabili, non condizionate dai sentimenti».
Nel marzo del 1976, dopo diciotto anni di vita comune, lei ha abbandonato la casa in cui vivevate insieme. Una separazione?
«Un atto necessario. Stavo soffocando: Yves era maniaco-depressivo, si drogava, beveva, era costantemente sotto psicofarmaci. Allontanarmi da lui è stato inevitabile, ma non ci siamo mai lasciati. Ci vedevamo tutti i giorni. E, soprattutto, non abbiamo smesso di amarci, di un amore immenso e passionale».
Non eravate fedeli: era «un riflesso borghese» come dice il film che non vi interessava?
«Esatto. Erano altre le cose che ci univano».
Il film rivela la sua infedeltà con Victoire, musa e amica intima di Yves.
«Quella scena rivela quanto complessa, intrigante e sofferta sia stata la nostra storia».
Che cosa vi ha tenuto insieme per cinquant’anni?
«Due cose fondamentali. Primo, non potevamo fare a meno l’uno dell’altro: molti pensavano che Yves fosse totalmente dipendente da me, ma anche io lo ero da lui, il nostro era un amore indissolubile. E poi c’era la maison de couture. Avevamo grandi responsabilità verso noi stessi e verso gli altri».
Dunque, nella vostra storia d’amore c’era anche una grandissima parte di razionalità?
«Certo: tenevamo moltissimo al successo e alla crescita personale».
Molti hanno spesso pensato che il mondo della moda non le interessasse fino in fondo. E vero?
«Sì, è vero. Per me era importante soltanto quello che faceva Yves. Anche se ho fondato la Fédération Francaise de la Couture, che ho presieduto per diversi anni, il mondo della moda mi è sempre stato stretto, l’ho sempre trovato troppo autoreferenziale e, soprattutto, troppo futile perché potesse interessarmi fino in fondo. Ho sempre fatto politica attiva, soprattutto negli anni in cui il mio amico Francois Mitterrand era presidente della Repubblica. Il mondo dell’arte, quello dei media, le grandi cause come il razzismo o la lotta all’Aids: sono stati questi gli’importanti motori della mia esistenza».
Com’è riuscito, in una sola vita, a occuparsi di così tante cose?
«Non credendo in Dio, ho sempre pensato che esista solo la vita terrena per realizzare quello che ci interessa. Ho avuto la fortuna di avere molte passioni».
A 83 anni, vive come vorrebbe?
«Non esattamente. Soffro di una miopatia – malattia muscolare, se preferisce – che mi impedisce l’uso delle gambe. Ma esco tutte le sere, lavoro tutti i giorni. E piloto il mio elicottero».
Che cosa fa in questo periodo?
«Tutta la mia attenzione è concentrata su Marrakech, sul giardino di Majorelle che rinasce dopo l’inverno, e sul Museo YSL, il primo al mondo, che voglio aprire in quella città».
Qual è stato il momento più emozionante del film sulla sua vita?
«La somiglianza di Pierre Niney con Yves è impressionante. All’inizio ho provato molto dolore, rivederlo così giovane mi ha turbato. Poi mi sono lasciato prendere dalla bravura degli attori, davvero impressionanti».
Al prossimo Festival di Cannes verrà probabilmente presentato un altro biopic, Saint Laurent, che è diretto dal regista Bertrand Bonello, e che lei non ha autorizzato. Ci sono ancora molte cose da scoprire sulla vostra vita?
«Penso che su di noi ormai sia stato detto tutto. E vorrei precisare che non ho partecipato alla realizzazione di questo film, a differenza di quanto avevo fatto con quello di Jalil Lespert, a cui avevo prestato abiti e disegni. Ma non ho nessuna intenzione di impedire che esca. Sono sempre stato contrario a ogni tipo di censura. Questa regola si applica anche a me stesso. Guarderò il film di Bonello con estremo interesse, e interverrò solo se racconterà menzogne».