Isabella Mazzitelli, Vanity Fair 26/3/2014, 26 marzo 2014
NON E’ QUESTA LA MIA STORIA
Per Natale, genitori e figli si scambiano doni: al papà le ragazze regalano un prosciutto «Pata Negra» da 4 mila euro, alla mamma un cucciolo di Bouledogue francese; ricevono un’auto e un solitario, nel senso di anello con brillante. Nessuno vibra per quello che riceve, ma non si fanno drammi: davvero qualcuno pensa ancora che un pacchetto incarti la felicità?
Il mondo dei super-ricchi e quello della gente normale sono due rette destinate a non incontrarsi. È dunque con grande soddisfazione – e buonumore persino – che si legge il romanzo La figlia di scritto da Elisa Fuksas, 32 anni, primogenita di due protagonisti dell’architettura e del design come Massimiliano Fuksas e Doriana O. Mandrelli. Perché non si fanno congetture, non si sbircia dal buco della serratura: è tutta roba di prima mano, per gli appassionati di ricchi & famosi, qui nella versione gauche caviar.
Ma non è un libro di gossip, né lo sfogo rancoroso di un figlio ingrato. Elisa, che finora ha lavorato come autrice e regista (per il film Nina è stata messa da Variety tra i 10 filmmakers europei più promettenti del 2013), ama molto la sua famiglia.
La storia è quella di Olimpia Reale, figlia di un celebre fotografo, che passa Natale in campagna con i genitori, la sorella, un ministro dell’Economia, un celebre artista, due principi del vino. È una ragazza complicata, eternamente sulla soglia: della sua vita che deve pur andare in qualche direzione, del lavoro che non si sa ancora bene quale sia, dell’amore che non va da nessuna parte. Dappertutto sta scomoda e irrisolta, ma sa guardare, e non può non domandarsi se tutto quello che le succede, dalle proposte di lavoro all’interesse della gente, non avvenga per effetto di quel cognome così lucente, bello, paralizzante.
Olimpia è lei?
«Io sono Olimpia, ma Olimpia non è me. Io mi sono liberata, lei è ancora lì che sospira quanto le piacerebbe essere quello che è senza rinunciare a ciò che ha intorno. Nascere in una famiglia come la mia – che è comunque meravigliosa – ha degli ovvi vantaggi, superficiali: sei meno anonimo. Ma l’attenzione che ricevi come “figlio di” è spostata, puoi trovarti a vivere una storia che non è la tua».
Olimpia è in un momento infelice. Lei?
«Adesso sto meglio. Nei mesi scorsi mica tanto. Mi ha lasciato lui, proprio quello del libro, e proprio come ho scritto. Solo che prima l’ho scritto e poi è successo. Ho doti profetiche? No ma, se scavi, la scrittura estrae la verità: era tutto ovvio, solo che non volevo vedere».
Come sono i suoi? Sua madre? Nel romanzo è dura.
«È la persona più critica che abbia conosciuto. Ci sono genitori che hanno il mito dei figli. I miei – lei soprattutto – mi amano ma sono implacabili. Li ringrazio. È feroce, ma è un atto d’amore».
E suo padre?
«Altro stile, ma quando interviene è peggio. Ti studia e poi ti convoca. Di recente mi ha chiesto cosa voglio fare: se una persona come me che ha accesso al mondo vuole restare nel suo piccolo mondo romano».
Quindi?
«Sto scrivendo un nuovo film. Accetto qualunque sfida con me stessa, purché sia decisiva».
I suoi sapevano che avrebbe scritto questo romanzo?
«Mai chiesto il permesso. Comunque è un libro d’amore. Mia madre ironizza, dice che per lei leggerlo sarà un ripasso. L’ho rassicurata. Sono loro ma non sono loro».
Che cosa pensa sua sorella? Nel romanzo è un’adolescente bionda e sventata, col tacco 12 anche in campagna.
«Quando era più piccola le chiedevo: cosa vuoi fare nella vita? Lei mi rispondeva: “Essere ricca”. È determinata, ce la farà. È la dimostrazione che non è che se porti stivali rasoterra come me sei più intelligente e arrivi prima. Lei, con i suoi tacchi, va ovunque».
Suo padre?
«Gli ho dovuto raccontare un po’ la storia. Ha detto che non andrebbe mai in vacanza con un personaggio come il suo. E che non sposerebbe mai una donna come Donata. Ritrova solo mia sorella, e con tenerezza. Dice che Olimpia sono io: “Il solito tentativo di una che si rende la vita difficile. Peggio per te”. Ma è una persona autoironica. Credo si divertirà: tante frasi che riporto sono proprio sue».
Lei scrive che durante un litigio al ristorante padre e figlia si lanciano aragoste.
«È successo».
Che da bambina il sabato voleva andare da McDonald’s per l’happy meal e la portavano al giapponese.
«È vero».
E che le maestre della materna avevano convocato sua madre per dirle che la piccola era mitomane.
«Perché aveva raccontato di essere stata tre volte in vacanza in Giappone. Ma era la verità».
Lei è molto sincera. Nel frattempo ha ricevuto la sua prima stroncatura: che effetto fa?
«La narrativa autobiografica è sempre piena di invenzione. La critica sulla persona, che non aderisce neanche al personaggio, non modifica il mio equilibrio».