Silvia Bombino, Vanity Fair 26/3/2014, 26 marzo 2014
HO UN RETROGUSTO AMARO
[Giusy Ferreri] –
Pantaloni di pelle nera, trucco deciso, taglio asimmetrico, borchie e sguardo accigliato. Giusy Ferreri è così. Da quando ha tredici anni preferisce il nero, quando parla di sé dice che è «cupa», è a suo agio solo con scarpe con tacco tra i 12 e i 17 centimetri. Avete presente Lisbeth Salander, la hacker di Uomini che odiano le donne? Lei no. Stieg Larsson non lo ha letto. Si chiama Giuseppa ed è sempre vissuta nella periferia di Milano, con i genitori venuti dalla Sicilia. La storia si conosce: dopo aver provato a diventare una cantautrice, nel 2008 ha partecipato alla prima edizione di X Factor, che non ha vinto, ma il tormentone romantico Non ti scordar mai di me, scritto da Tiziano Ferro e Roberto Casalino, l’ha fatta conoscere, abbandonare il lavoro di cassiera, lanciata in classifica. Un trampolino che è stato la sua fortuna e anche la sua condanna. Almeno fino a ora che esce L’attesa, il primo disco che contiene «la vera Giusy». Lo si vede sin dal libretto che lo accompagna (e di cui in queste pagine vedete le immagini): si è fatta fotografare mentre, in tuta lucida, esegue le figure dei tessuti acrobatici, sua grande passione. «Volevo che l’immagine fosse finalmente la mia, diversa da quella di “cantante di sdolcinate canzoni d’amore” che mi hanno cucito addosso».
Non si sente romantica?
«Anche. Un po’. Sono anche altro».
I due brani di Sanremo, però, sono canzoni d’amore abbastanza tradizionali, sul palco era vestita elegante.
«Infatti non sono scritti da me, e i vestiti non erano i miei. Mi vogliono più rassicurante. Al Festival, poi, non ci dovevo andare».
Perché?
«Questo disco, che si chiama L’attesa non per niente, segna per me il ritorno in scena davvero come sono. Quasi tutto il materiale è stato composto tra il 2011 e il 2012. Ho lottato oltre un anno, dopo, per difenderlo. Volevo maggiore autonomia dalla casa discografica. Mi sono fatta convincere che andare al Festival poteva essere un modo per “ritornare”, ma ho voluto comunque fare uscire il disco più tardi, perché sono cose diverse. E comunque qualche settimana prima dell’inizio della gara volevo mollare».
Che cosa è successo?
«Mio padre ha avuto un’emorragia cerebrale, ed è entrato in coma. Da un paio d’anni è il mio amministratore e braccio destro nel lavoro, non avevamo nemmeno arrangiato i pezzi di Sanremo. Quando si è accasciato eravamo insieme in studio, l’ho portato io al pronto soccorso».
Confermo: la stampa non ha potuto fare il pre-ascolto dei suoi brani.
«Per una settimana ho detto: fermi tutti. Non mi interessava fare altro che stargli vicino. Poi per fortuna è migliorato, e mi sono chiesta se dirgli che non andavo più al Festival sarebbe stato un colpo per lui... Ho preferito andare avanti».
Ora sta bene?
«È in una clinica di riabilitazione, i tempi sono lunghi. Possiamo comunicare, è molto lucido ma comunque allettato. Seguirmi, anche a distanza, gli ha dato una spinta in più per risollevarsi».
La famiglia le ha dato sostegno?
«Mia madre. Ho anche un fratello, ma... Purtroppo pure lui, l’anno scorso, ha avuto
un incidente in moto, è stato in coma e da nove mesi sta facendo riabilitazione. Diciamo che non avevo molti aiuti».
Poi, arrivata a Sanremo, ha pure avuto problemi alla voce.
«Esatto. Prendevo il cortisone da due giorni, raffreddore, mal di gola. Non ho cantato alle prove in modo da preservarmi. Un cedimento fisico».
Crolli psicologici ne ha avuti?
«Per ora no. Ma li aspetto».
Ora deve promuovere il disco, e partire in tour...
«Infatti tengo duro. In realtà non vedo l’ora: ho stabilito che il tour sarebbe stato quello del mio mondo, qualcosa che la gente non ha ancora visto di Giusy».
Tipo?
«Spero di potermi esibire con i tessuti acrobatici, una passione che pratico da tre anni. Ho sempre sognato di imparare il trapezio, dopo aver visto Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders. Tre anni fa ho conosciuto due ragazze che lavorano al circo, abbiamo iniziato con il cerchio aereo, la rete e poi con i tessuti. Per me è diventato un momento di sfogo necessario. A casa ho creato questa “stanza della ricreazione” con gli strumenti e il gancio per appendermi».
E nel disco?
«Ho lavorato con due autori e produttori stranieri che stimo molto: Linda Perry e Yoad Nevo. Con Linda, a Los Angeles, ho scritto pezzi pop che valorizzassero di più la mia voce, la timbrica bassa e l’estensione. Con Yoad, a Londra, brani più rock, più introversi, che mi corrispondono».
Ho trovato originali La bevanda ha un retrogusto amaro, Neve porpora e la ghost track Ho ucciso il diavolo.
«Mi fa piacere che si noti la differenza».
Perché, finora, non è riuscita ad affermarsi come ha voluto?
«Per chi viene da un talent è più difficile poter decidere. Ci sono tanti professionisti che ti circondano, ognuno ha una teoria su di te e su come “piaci” al pubblico. A Sanremo mi hanno dato due brani di Casalino, e nel disco quei pezzi sono i soli su cui non ho messo mano. Intendiamoci: non rinnego ciò che ho fatto. Non ti scordar mai di me è una bellissima canzone, come Ti porto a cena con me. Però io non finisco lì. Mi piacerebbe che il prossimo singolo fosse La bevanda ha un retrogusto amaro».
Invece sarà?
«Non lo so. Agli addetti ai lavori piaceva molto L’amore possiede il bene».
Finalmente lo posso chiedere: ma che significa? In tanti se lo sono chiesti, al Festival.
«Il concetto è quello di amore come possesso. È davvero lontano da quello che penso io».
Qual è il suo concetto d’amore?
«Scambio, condivisione, ma anche libertà».
Sta ancora insieme ad Andrea, il suo fidanzato storico?
«Abbiamo fatto sei anni il 25 marzo».
Lui che cosa dice del tacco 15?
«Che è esagerato, e ha ragione, ma mi conosce bene e sa che è il mio stile».
Sei anni di fidanzamento. Mai pensato al matrimonio?
«Sono allergica ai contratti, si era capito?».
Convivete?
«Non più. Da un po’ ho ritenuto necessario avere più spazio, mi sentivo un po’ soffocare. Lui non fa parte del mondo dello spettacolo, non è facile far combaciare le esigenze. Abbiamo convissuto cinque anni e mezzo, gli ultimi sei mesi li ho passati da sola».
Però non vi siete lasciati?
«No. C’è anche gente sposata che vive separata... Ma non escludo niente».
Mai pensato di fare figli?
«Già quando avevo vent’anni avevo bene in mente che al massimo li avrei adottati. Non so perché. Ora che sto per compiere 35 anni, non è arrivato l’istinto materno e nemmeno mi sentirei pronta ad adottarne uno».
Per alcuni fan, su Internet, è stato uno shock quando si è rasata metà testa.
«Non è stata una svolta, anche se molti l’hanno percepita così. Ho fatto di tutto con i capelli, a 23 anni ero bionda. E mi sono fatta più volte il taglio alla mohicana. Anche i miei abiti sono “fetish” da sempre, con varie sfumature: a 13 anni vestivo di nero, ero dark, con il cerone bianco e rossetto rosso. Dai 17 anni in su uso le zeppe e, a parte una parentesi liceale da “figlia dei fiori”, ho sempre comprato in negozi di abbigliamento punk e cyber punk. Ha presente i cagnolini piccoli che abbaiano più forte?».
Sì.
«La mia bassa statura (è alta un metro e 50 centimetri, ndr) mi ha fatto sempre sentire un po’ bambina, anche se dentro sono una tigre. Se mi vedete così è perché indosso uno scudo. Non sono cattiva. Ecco: forse basta dire questo, alla gente».