Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 26/3/2014, 26 marzo 2014
RENZI DÀ 80 EURO, VW PIÙ DI 550
Se il referendum indipendentista veneto, quello degli oltre due milioni di voti online, non è uno scherzo, come ha scritto l’altro ieri Ilvo Diamanti su Repubblica, allora bisogna interpellare un grande veneto. Come Mario Carraro, classe 1929, industriale di livello internazionale con la sua Carraro Group che fornisce sistemi di trazione ai maggiori costruttori mondiali di trattori e macchine industriali, partendo da Campodarsego (Padova).
Domanda.
Carraro, che succede in Veneto?
Risposta. C’è un’inquietudine, che non è solo veneta, ma che forse è più forte qui che altrove, per i ritardi nell’evoluzione del sistema produttivo. A meno che lei non si riferisca a questa fiammata del referendum online.
D. Esatto. Che succede? Secessione, indipendenza_
R. Guardi che quella è una bufala. Io, che conosco tanta gente, non ho incontrato una persona che abbia votato.
D. Ma come, l’80% di due milioni di votanti favorevole?
R. Di fatto non si sa davvero quanti siano stati i votanti. Nessuno ha potuto controllare e inoltre si potevano creare le situazioni per un voto multiplo. Io potevo votare, da casa, col computer in azienda, con lo smartphone. L’80% di un numero ipotetico non è poi così significativo.
D. Quindi l’indipendenza...
R. L’indipendenza è una parole grossa, enorme. Fa fatica la Scozia a parlare di indipendenza, figurarsi il Veneto che non lo è mai stato. Perché, non dimentichiamo che Venezia fu una repubblica e non il Veneto. Altri sono i problemi che preoccupano il territorio.
D. Beh però Luca Zaia è corso a Roma, alla associazione della stampa estera, a precisare certo, e forse anche a prendersi un po’ di visibilità internazionale_
R. È una cosa che ha fatto chiasso, il referendum. Ma anche i Serenissimi che avevano preso il Campanile di S. Marco, nel 1997, ne fecero. Quest’ultima sarà stata una cosa meno eclatante, ma manca altrettanto di fondamento. Zaia poteva risparmiarsi un incontro con la stampa estera.
D. La sofferenza, il disagio c’è_
R. Evidentemente sì. Il Veneto soffre perché si è trovato nella competizione, sguarnito di industrie importanti e con una miriade di aziende e aziendine, non controllabili, incapaci talvolta di presentare un businessplan, un progetto. Sono purtroppo vittime naturali del crash. Ora bisogna fare un ragionamento serio su come uscire. L’altro giorno ho incontrato, a Padova, i giovani del Ted, la conferenza californiana e oggi itinerante, in cui si confrontano le idee. Bellissima per l’entusiasmo dei partecipanti.
D. Di che si didscuteva?
R. Si parlava dei rischi che arrivano dalla concorrenza europea di Paesi come la Polonia. Si è fatto l’esempio di Electrolux. E sa cosa ho detto? Provassero a portare via la Ferrari.
D. Impossibile?
R. Certo. Nemmeno la Germania, potrebbe farcela. Perché vi si è creato un sistema di competenze tali che sono impossibili da muovere da Maranello. Nemmeno la Carraro, peraltro, è facilmente spostabile.
D. Che lezione si deve trarne?
R. Che abbiamo bisogno di creare competizione per sanare il Paese. Noi scontiamo un serio gap di immagine quando entriamo in concorrenza con prodotto straniero, perché con la scusa del «piccolo è bello» abbiamo creato un sistema inefficiente nei processi di internazionalizzazione. Tornando al Veneto, le piccolissime imprese rivolte al mercato interno non possono che soffrire. Certo, non manca per fortuna un buon numero di industrie medio-piccole eccellenti.
D. Dunque come se ne esce? In Veneto e altrove.
R. Abbiamo fatto riforme importanti, come quelle delle pensioni. C’è in pista la riforma del lavoro, che va chiarita ma che pare bene avviata. Ci vorrebbe una rivoluzione vera da parte di Confindustria come avevo suggerito a Giorgio Squinzi quando ho avuto occasione di incontralo alcuni mesi fa.
D. Vale a dire?
R. Una Confindustria del Nord e una del Sud. Perché l’industria del Sud non prenda alibi. C’è un abisso fra le due aree e lo dice uno tutt’altro che leghista. Un sogno sarebbe rifare Confindustria, che porterebbe una rivoluzione nelle nostre immobili istituzioni, sindacato compreso.
D. E Squinzi che le ha detto?
R. Ha sorriso. Io non l’avevo votato all’ultima elezione, ma è una brava persona e un ottimo imprenditore. Ha la voglia di cambiare, ma mi pare prigioniero di una struttura inamovibile.
D. Le riforme le deve fare il governo. Di Renzi che le pare?
R. Io sono a favore dell’innovazione e Renzi mi pare bravo al proprio interno, nel senso che si è creato una compagine di ministri che lo seguono. La maggioranza parlamentare sui cui si regge mi pare meno affidabile, sia da parte del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, sia soprattutto del Pd.
D. È un gruppo parlamentare che aveva scelto Pier Luigi Bersani_
R. E soprattutto che è andato in parlamento con una campagna elettorale che aveva indirizzi molto diversi da quella che sta dando Renzi, non dimentichiamolo. Ha il torto di non essere un premier elettivo.
D. Che cosa dovrebbe fare il premier?
R. Il governo deve fare il grande sforzo di far riemergere il sistema. E fare un grande sforzo di ripartire nel 2014-2015 per non farlo affogare. Dopo di che bisogna pensare a cosa fare, di qui al 2020-2030. Le risoluzioni che prendiamo oggi devono guardare a quell’orizzonte temporale, nella rivoluzione economica in atto nel pianeta.
D. Quindi gli 80-90 euro di riduzione Irpef, il taglio dell’Irap, servono per l’oggi ma bisogna guardare lontano.
R. Vanno bene ma il sistema manifatturiero ha perso il 25% della produzione da quando è iniziata la crisi. In Veneto più che altrove. Contemporaneamente la Germania ha guadagnato il 15: sembra quasi un’utopia, il riaggancio. Quando Renzi ha parlato degli 80 euro, la Volkswagen ha dato un premio speciale di 6.200 euro ai propri operai, cioè di oltre 550. Anche da noi, Tod’s, Brunello Cucinelli hanno fatto operazioni simili, però quel fatto ci dice che il problema, per noi, è avere industrie capaci di produttività, qualità, redditività e di prodotto forte. Le faccio un altro esempio_
D. Mi dica...
R. Le start-up, le società innovative di cui il premier parla spesso. Prosperano in contesti come Israele, California, in cui c’è una finanza che, con libertà e quasi spregiudicatezza, investe. Sapendo che ci sono quelle che vanno bene e quelle che falliscono. E dove fallire non è un’ignominia, anzi mi pare che anche a Steve Jobs fosse capitato. Da noi le banche non finanziano nemmeno il corretto, figurarsi. Del resto mancano pure i mezzi, in questo momento. Lo scorso autunno sono intervenuto a Roncade (Tv), dove si è fatta una certa fama H-Farm, incubatore di imprese.
D. E cosa ha detto?
R. Era il giorno dopo che Twitter era entrato in Borsa. Azienda che a fine anno avrebbe fatturato 600 milioni di dollari, perdendone 150 ma con una capitalizzazione borsistica, se ben ricordo, di 17 miliardi di dollari e che avrebbe raggiunto i 28. Ho fatto notare proprio quest’ultimo aspetto: che c’era un sistema di investitori pronti a credere in quel progetto.
D. Cos’altro deve fare, Renzi, guardando al 2020, come si diceva prima?
R. Pensare alla scuola, come sta facendo, magari pensando a un sistema di autonomie regionali. Poi le università che vanno premiate nella loro eccellenza e nella capacità di sviluppare ricerca. E poi c’è un problema demografico in generale a cui la Germania sta mettendo mano, importando giovani talenti, non giovani qualsiasi, dall’Italia, dalla Spagna. Ma anche dall’Asia, India in particolare. E’ con questo spirito che dovremmo pensare a una politica di immigrazione. E mi faccia aggiungere un’altra cosa.
D. Prego...
R. Quando all’Estero sentono di Expo, di Finmeccanica e scandali simili, noi ci facciamo del male. Pensare al futuro, significa puntare il coltello in questa piaga e con forza. Dobbiamo lavorare per una profonda modernizzazione del Paese.