Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 26 Mercoledì calendario

IL SOSPETTO CHE IN RCS SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO


Ah quando c’era lui, il caro, estinto patto di sindacato. Quelli sì che erano tempi buoni per Rcs Mediagroup.
C’erano regole certe, un azionariato coeso, ruoli definiti e le banche (Mediobanca e Intesa Sanpaolo) garantivano equilibrio. Così tutti erano felici e contenti. Almeno apparentemente. Perché poi al momento del rompete le righe, sul finire dello scorso anno, in ossequio alla regola della fine-dei-salotti-buoni, tutto si è sfaldato in un amen. Complice l’aumento da 400 milioni completato lo scorso luglio, la Fiat ha preso le redini del gruppo editoriale forte del 20,55%, il doppio di quanto aveva prima, Mediobanca si è sfilata (oggi è al 9,9% dal precedente 15% e sta limando ancora al ribasso la quota), Intesa è sì salita dal 5 al 6,5% ma pesa meno di Diego Della Valle (rafforzatosi fino alla soglia del 9%) e soprattutto Giovanni Bazoli ha perso il sostegno della Pandette, holding dei Rotelli (il fondatore Giuseppe è deceduto lasciando in eredità la partecipazione a moglie e figli), scesa dal 16,55% al 3,4%.
Poi è entrato in scena Urbano Cairo (2,845%), smanioso di contare di più per il fatto di essere l’unico tra tanti che mastica la materia e la cui casa editrice dispone di una cassa di 173 milioni. Insomma, se prima l’affollato condominio era guidato dalla sapiente regia del notaio, professore, fine giurista Piergaetano Marchetti (al vertice pure della Fondazione Corriere), oggi con il successore Angelo Provasoli, a sua volta stimato docente e grande professionista, le cose sono assai diverse. Con il rompete-le-righe ogni socio ancora interessato alle sorti del Corriere della Sera fa, in pratica, quel che gli pare, tanto che da anni si susseguono voci di ricambio al vertice del quotidiano di via Solferino. E l’ad Pietro Scott Jovane, spesso messo in discussione, prova a fronteggiare una pesante crisi settoriale lanciando iniziative 2.0 (la nuova versione online del Corriere.it nel giro di poche settimane ha visto crollare gli accessi, con ovvii malumori in redazione). I giornalisti da tempo sono sul piede di guerra per le decisioni prese dal cda (vendita della sede storica, aumento del prezzo di vendita del CorSera). Alla Gazzetta dello Sport, poi, hanno fatto pure una lunga ma poco efficace crociata contro il progetto di scommesse online GazzaBet e ora cercano di trattare al meglio il trasloco dalla centrale via San Marco alla periferica via Rizzoli. Operazioni sonoramente contestate da Della Valle e più velatamente dai vari Pesenti, Merloni (si sono dimessi dal cda), Rotelli e Cairo. E che le tensioni siano alte e l’indecisione regni sovrana lo dimostra il fatto che il cda di lunedì 24 sulla governance e sui bonus ai manager è stato rinviato all’ultimo momento con la scusa degli «impegni improrogabili». Così, in vista del redde rationem assembleare dell’8 maggio, i giochi sono tutti aperti e le cordate ancora formalmente da costituire. Per questo in molti segnalano il lavoro sottotraccia del professore Bazoli, da sempre attento ai destini del Corriere e propenso all’equilibrio tra potenti. Magari arginando l’attuale strapotere del numero uno di Fiat, John Elkann, con un nuovo patto. Affinché tutto torni come prima. Perché alla fine si stava meglio quando si stava peggio.