Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano 26/3/2014, 26 marzo 2014
CRISI MONTE PASCHI, ECCO CHI VUOLE LA NAZIONALIZZAZIONE
Per Alessandro Profumo – presidente del Monte dei Paschi di Siena impegnato in un tentativo non scontato di salvataggio delle terza banca italiana – il nemico numero uno è il partito trasversale della nazionalizzazione. Ne è leader non dichiarato Antonella Mansi, presidente della Fondazione Mps. A fine 2013, come azionista dominante della banca, ha bloccato l’aumento di capitale da 3 miliardi con cui Profumo dovrebbe restituire gran parte dei 4 miliardi di prestito statale noto come Monti Bond. Il presidente ci riproverà tra un paio di mesi, in mezzo a difficoltà crescenti. Se non ce la facesse scatterebbe il diktat dell’Unione europea: conversione in azioni dei Monti Bond. Lo Stato acquisirebbe il 70-80 per cento del capitale (a seconda dei prezzi di conversione). Qui scatta l’equivoco in cui sono caduti anche osservatori ideologicamente distanti come Beppe Grillo e il leader di Fare Michele Boldrin, entrambi convinti che la nazionalizzazione strapperebbe la banca alla politica locale. In realtà i danti causa della Fondazione sanno che proprio la nazionalizzazione è l’unica via di salvezza: meglio l’Mps statale – soprattutto ora che a Palazzo Chigi c’è un amico – che un azionariato diffuso che lascerebbe tutto il potere a un management poco attento alla “senesità”.
PER CAPIRE IL PECULIARE campanilismo della nazionalizzazione bisogna ricordarsi il nome di una società, la Bassilichi, che ha sede a Monteriggioni, a pochi chilometri da Siena. E poi fare un salto indietro al 1 settembre dell’anno scorso, quando Matteo Renzi si esibisce alla Festa del Pd di Genova. Dice il futuro premier: “Adesso vi svelo un particolare, ieri mi ha mandato un messaggino il sindaco di Siena Valentini, ‘Matteo, allora vado a dritto sulle nomine, okay?’. E io gli ho risposto, Bruno ma che c’entro io con le nomine del Monte Paschi”. Infliggendo a Bruno Valentini una figura barbina, Renzi ha abilmente coperto l’evidenza: il sindaco di Siena, dopo un lungo braccio di ferro sul nome di Franco Pizzetti, stava portando alla presidenza della Fondazione il nome caro al mondo renziano, Antonella Mansi. Nessuno ha mai spiegato da dove spuntasse quella vicepresidente della Confindustria dallo scarno curriculum imprenditoriale. Ma le cose si fanno più chiare se ricordiamo che Valentini prima di Siena è stato sindaco di Monteriggioni e Mansi era membro del cda della Bassilichi.
Marco Bassilichi è il capo, e vanta un sistema di relazioni incardinato sulla salda amicizia con Renzi. Prima di esplorare la ragnatela, dobbiamo però sapere che la sua azienda, attiva nei servizi bancari, dipende totalmente dal principale cliente, il Monte dei Paschi. Il bilancio 2012 si è chiuso con un pesante calo dei ricavi, a quota 224 milioni, perché Fabrizio Viola, mandato da Bankitalia a salvare il salvabile di Mps a inizio anno, ha tagliato il tagliabile, riducendo di 24 milioni le commesse a Bassilichi. Così nel luglio 2013
propone a Mps il grande contratto di esternalizzazione concluso poi a fine anno: la società di Monteriggioni gestirà un pezzo del cosiddetto back-office di Mps, cioè la burocrazia che sta dietro gli sportelli, accollandosi 1066 dipendenti. L’operazione vale per Bassilichi il raddoppio del fatturato e dei dipendenti, ma la serrata trattativa autunnale con Viola , parallela al braccio di ferro tra Man-si e Profumo sull’aumento di capitale, gli ha concesso margini deludenti. Tra l’altro il contratto è stato ottenuto attraverso una nuova società, la Fruendo, dominata al 60 per cento dalla multinazionale Accenture.
IL CASO BASSILICHI è esemplare degli interessi che girano attorno a Mps. Se la banca venisse nazionalizzata, per i Bassilichi e i loro cari sarebbe una svolta. Si passerebbe dalle cornate con Profumo e Viola alla geometrica potenza delle amicizie politico-finanziarie. Basti pensare che, contrariamente ai miti sugli imprenditori innovativi, l’azienda è di fatto del Monte dei Paschi. Marco è presidente , suo fratello Leonardo è amministratore delegato, comandano ma con i numerosi fratelli mettono insieme solo il 23,5 per cento delle azioni. Il 60 per cento del capitale è espresso proprio dal principale cliente, direttamente (12 per cento) e attraverso la controllata MP Venture (19 per cento), la partecipata Sici Sgr (16 per cento) e la Finanziaria Senese di Sviluppo (13 per cento), controllata dalla Fondazione Monte dei Paschi, cioè dall’amica Mansi. Per trovare un soggetto significativo riconducibile ai presunti proprietari bisogna arrivare alla finanziaria Navigator, che possiede il 5,5 per
cento della Bassilichi e ha le sue azioni a sua volta divise in tre parti uguali tra Marco, Leonardo Bassilichi e l’onorevole e professore Gregorio Gitti, deputato di Scelta Civica nonché genero del presidente di Intesa San-paolo Giovanni Bazoli. Gitti è anche consigliere della Bassilichi, mentre Mansi si è dimessa poco dopo la nomina alla Fondazione.
Marco Bassilichi è talmente amico di Renzi che nel 2008 l’allora assessore e candidato sindaco di Firenze Graziano Cioni, volendo punire l’amica Sonia Innocenti, dipendente della Bassilichi che l’ha tradito politicamente, chiama l’amico Matteo, presidente della Provincia: “Quando tu vedi Marco Bassilichi tu gli dici anche te qualcosa...”. Il giorno dopo Renzi lo richiama: “Ascolta due cose al volo: alla Sonia quel messaggio che mi avevi detto ieri gliel’ho fatto dare in modo molto brutale”. Sempre veloce, in a hurry.
BASSILICHI È ANCHE AZIONISTA e presidente della Editoriale Fiorentina, che pubblica il dorso di cronaca locale del Corriere della Sera. La sua partecipazione al potere toscano risale al progetto di acquistare nel 2007 il Siena Calcio, da sempre una dépendance del Monte dei Paschi, in cordata con Riccardo Fusi, in seguito arrestato per la bancarotta della sua Baldassini Tognozzi Pontello, grande amico e sodale di Denis Verdini, l’uomo di B. che detta a Renzi gli articoli delle leggi elettorali.