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 2014  marzo 26 Mercoledì calendario

ABOLITE? MACCHÉ LE PROVINCE COSTERANNO DI PIÙ


Matteo Renzi giulivo ieri sera ha twittato: «Se domani passa la nostra proposta sulle province, tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani». Raro concentrato di bugie in sole 119 battute. Primo, «la nostra proposta sulle province» porta la firma di Enrico Letta. Secondo, gli amministratori provinciali esistenti citati da quel testo di legge sono 1.774, e quindi ne mancano all’appello 1.226 per raggiungere i 3 mila politici a cui Renzi dice di togliere lo stipendio. Terzo: che il disegno di legge in discussione al Senato faccia risparmiare i contribuenti, è tutto da dimostrare. Anzi, secondo i tecnici del servizio bilancio del Senato «le riduzioni di spesa che si conseguirebbero nel lungo periodo risulterebbero incerte e potrebbero anzi determinarsi nuovi oneri». Quarto: non è manco dato per scontato che quel testo sulle province veda infine la luce: ieri per due volte il governo è andato sotto in Senato, con spaccature evidenti nei gruppi di centro (Popolari per l’Italia e Scelta civica). Davvero per un pelo non sono passate le pregiudiziali di costituzionalità che avrebbero chiuso ogni discorso. Renzi in questo caso deve dire grazie a una raffica di assenze pesanti (da Verdini a Maria Rosaria Rossi fino alla coppia Bondi-Repetti) in Forza Italia, che votava contro il disegno di legge e insieme al M5S. E in ogni caso l’aula deve ancora vedersela con 3 mila emendamenti presentati non solo dalle opposizioni.
Per capire tanti ostacoli su un tema che tutti o quasi avevano messo nei loro programmi elettorali, bisogna chiarire che non si tratta affatto della abrogazione delle province. La loro cancellazione - e perfino l’eliminazione delle città metropolitane - era contenuta in un ddl costituzionale approvato dal governo Letta il 20 agosto scorso. Siccome si trattava di un vero colpo di scure, non ha fatto nemmeno un metro in Parlamento. E a dire il vero né quel governo, né quello di Renzi ha chiesto di incardinare quel testo che pure era stato scritto e cofirmato da Graziano Delrio. Al posto della montagna è stato scelto il topolino, che si chiama “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di Comuni”. Che cosa accade? Che vengono istituite in tutte le regioni le città metropolitane, che subentrano alle funzioni delle province. Ma - meraviglia - possono subentrare anche solo parzialmente, lasciando in vita anche le province con una confusione che rischia di essere drammatica e sicuramente produttrice di nuovi costi. Per una ventina di casi dunque potrebbe trattarsi di una sostituzione, ma anche di un raddoppio. Tutte le altre province restano in piedi. Semplicemente non le elegge più nessuno, perché siederanno lì i sindaci dei comuni capoluogo (che Renzi infilerebbe dappertutto, dal nuovo Senato fino alla Caritas), che sulla carta non verrebbero pagati per il nuovo incarico. Sulla carta si tratterebbe di un piccolo risparmio: 111 milioni di euro l’anno una volta a regime. Ma quel risparmio è solo teorico: per assolvere le nuove funzioni i sindaci avrebbero più spese da farsi rimborsare e anche la necessità di allargare i propri staff per lasciare una squadra anche in provincia/ città metropolitana. Nella migliore delle ipotesi non cambia nulla, forse peggiora pure il costo. Lo dimostra lo stesso testo di Letta ora adottato con tanto trasporto da Renzi (non avendo slides, non l’avrà letto). Come nota infatti il servizio Bilancio del Senato «si segnala che la norma non prevede, in corrispondenza agli attuali compensi spettanti ai predetti organi politici e destinati a venire meno, conseguenti tagli nei trasferimenti spettanti agli enti interessati. Pur non trattandosi di maggiori oneri, potrebbe configurarsi in merito a tale aspetto, la rinuncia a un potenziale risparmio ».
Oltre alle province vengono create anche delle unioni di comuni, che farebbero lievitare il costo dei rimborsi per gli amministratori che si spostano. Ma non è finita, perché nel grande caos creativo di chi ha scritto quel testo, si prevede che tutti i costi di struttura attuali delle province resterebbero in piedi. Le funzioni pure, anche se in alcuni casi attribuite insieme al personale alle Regioni, che di compiti ne hanno già abbastanza. Anche questo passaggio secondo i tecnici del Senato potrebbe fare aumentare la spesa pubblica: il contratto dei dipendenti regionali è più generoso di quello per i dipendenti provinciali. Il testo non prevede che cosa debba accadere, se non il fatto che bisogna attendere un nuovo contratto integrativo, ma il servizio Bilancio del Senato avverte che in ogni caso se i dipendenti trasferiti non avranno il contratto più favorevole, faranno causa con ottime possibilità di vincerla.
Morale: le province restano in piedi e in alcuni non pochi casi raddoppiano. I trasferimenti dello Stato verso le province restano immutati anche dopo la loro trasformazione, quindi per i cittadini il risparmio è zero. Non è stata abolita una sola imposta o tassa provinciale, che quindi si pagherà come prima. Miglioramenti per le tasche dei cittadini: zero. C’è il rischio che invece costino di più le strutture e i rimborsi spesa dei nuovi politici che occuperanno le province come secondo o terzo lavoro (alcuni di loro sederanno pure nel nuovo Senato). Un capolavoro nell’arte di prendere in giro i cittadini.