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 2014  marzo 26 Mercoledì calendario

COLANTUONO: «FEDELE ALLA DEA»

Quando Stefano Colantuono non allena, si rilassa a San Benedet­to del Tronto, dove ha giocato e partì da tecnico professionista. Va in bicicletta, sta con gli ami­ci, insomma fa la vita da anti­personaggio: cura il campo e non l’immagine. I suoi 35 anni di calcio sono all’insegna della provincia, fra Sam­benedettese, dove ha giocato e allenato, e A­vellino, di cui era stato primattore in Serie A. È fra i tecnici più fedeli del calcio italiano, è alla sesta stagione alla guida dell’Atalanta e ha un contratto fino al 2016: in teoria può arrivare al­meno a 8 stagioni di fila sulla stessa panchina, un record per le abitudini italiane. E sta viven­do il mese migliore della carriera, al punto che stasera con il Livorno la sua “Dea” nerazzurra può aggiudicarsi la 5ª vittoria di fila.

Lei, Colantuono, è romano, cominciò nel­l’Anzio.
«A 5 anni mi sono trasferito lì con la famiglia. Poi sono passato alla Vis Velletri, aveva uno dei settori giovanili migliori del Lazio».

Nell’85 il debutto in A, nel Pisa di Romeo An­conetani.
«Era un presidente molto presente, rappre­sentò un buon inizio».

A quale campione è più affezionato?
«Indimenticabile il trequartista Josè Dirceu. In Irpinia avevamo firmato l’ultima salvezza in A, nell’87. Era un uomo straordinario e un mago delle punizioni».

Mai ha lottato per lo scudetto, ma ne ha vin­to uno a calcetto.
«Quando ero tesserato con l’Ascoli, vigeva un regolamento insano. Per liberarmi c’era da pagare il parametro, teneva conto del­l’età e dell’ultimo stipendio: un mi­liardo e mezzo di lire, troppo per un difensore e di 29 anni, ma il presi­dente Rozzi non faceva sconti. Per svincolarmi dovevo fermarmi per un biennio, oppure trascorrerlo fra i dilettanti».

Lo status del calcio a 5…
«Passai alla Bnl Roma. All’epoca era come la Juventus».

Dal 2005 il suo primo biennio a Bergamo: promozione e 7° posto in Serie A. Tornò nel 2010.
«Entrambe le volte l’Atalanta era retrocessa, avevo il compito di farla risalire e l’ho centrato».

Il suo presidente, Antonio Percassi, è l’unico proprietario ex calciatore pro­ fessionista…
«È stato capitano dell’Atalanta negli anni ’70: è un grosso vantaggio, lascia lavorare tranquilli, non è legato al risultato immediato ma al me­todo. Osserva con equilibrio e parla poco, so­lo con il diretto interessato, ma ha una carica impressionante. L’ideale per un tecnico».

Cosa le chiede?
«Ama le squadre che non si arrendono. Da buon bergamasco vuole che sul campo diamo tutto, come faceva lui da terzino».

Secondo il presidente del Palermo, Zampari­ni, che la esonerò due volte, i tecnici italiani si sentono cattedratici, rifiutano consigli…
«Le decisioni devono essere prese dall’allena­tore. Se si fida, deve lasciarlo agire serena­mente ».

Ha mai ceduto ai suggerimenti di un presi­dente sulla formazione?
«No, neanche di Gaucci, che pure era portato a intromettersi. E mai lo farò. All’Atalanta il presi­dente e il dg Pierpaolo Ma­rino ma non hanno mai in­terferito sulle scelte».

I migliori calciatori che ha allenato?
«Edinson Cavani, arrivato al Palermo giova­nissimo. Sempre in Sicilia, Amauri è stato fe­nomenale, come Fabrizio Miccoli».

E dell’Atalanta?
«Cristiano Doni su tutti. E Riccardo Zampa­gna, arrivato tardi ai massimi livelli: era un po’ testone ma aveva mezzi tecnici straordinari».

Chi è il numero uno degli allenatori?
«La scuola italiana è eccellente, Ancelotti al Real Madrid è in lizza per ogni titolo, Capello porta la Russia al Mondiale, Mancini aveva vin­to la Premier con il Manchester City, Spalletti 4 trofei russi con lo Zenit, perciò non merita­va l’esonero. Zaccheroni si è aggiudicato la Coppa d’Asia con il Giappone e l’ha qualifica­to per Brasile 2014. Della Serie A penso aGui­dolin, per la carriera, Mazzarri e Conte».

Che però a Bergamo si dimise, perché?
«Fu una stagione particolare e non si era tro­vato in sintonia con l’ambiente».

Quale è la dote migliore di Colantuono?
«La pazienza. Come tecnico sono partito dal­le categorie inferiori: dalla Seconda Divisione in su, le ho vissute tutte. La gavetta è un orgo­glio in più».

Seedorf al Milan è stato in discussione da su­bito…
«Negli ultimi anni qualche tecnico è partito dalla A, l’esperienza si fa anche così, ma serve relazionarsi bene con il gruppo, altrimenti…».

Perché Colantuono a Bergamo funziona co­sì bene?
«L’Atalanta mi permette di lavorare da privile­giato, è la miglior squadra da allenare. Sarei molto felice di restare a lungo».

Bergamo manca dall’Europa dal ’91, ar­rivò ai quarti di Coppa Uefa, e uscì con l’Inter...
«Noi dobbiamo consolidarci nella massima serie, cercando di essere meno altalenanti possibili con la B. Con 54 campionati di Serie A, siamo la regina della provincia».

Il nome di un suo giocatore su cui scommettere?
«Bonaventura, che un anno fa de­buttò in Nazionale. Ma abbiamo di­versi giovani interessanti».

Denis può diventare il Totti dell’Ata­lanta?
«È alla terza stagione qui, ha 32 anni ma proseguendo con questo rendimento può tranquillamente imitarlo. Cigarini e il portiere Consigli potrebbero restare a vita. Come il ca­pitano Bellini, da sempre con noi: è una delle ultime bandiere, con il maggior numero di pre­senze in A, è un’istituzione e un esempio per i nuovi».

Lei come stacca dal calcio?
«Leggo, soprattutto biografie. Mi appassiona­no le storie del boss Francis Turatello, di Nero­ne e Caligola. Ma anche di Freddy Mercury e Agassi».

È credente?
«Sì, anche se non molto praticante».

Ha scaramanzie?
«Sono molto legato agli oggetti. Quando vin­ciamo tengo le stesse scarpe anche nella gior­nata successiva».

Guardandola non si direbbe che l’allenatore sia un mestiere stressante…
«Lo è molto invece. È un lavoro ben remune­rato, garantisce prestigio ma logora. Quando mi fermerò, potrei ritirarmi a Lampedusa. E de­dicherò più tempo ai figli: Giulia studia a Ro­ma, per fare la traduttrice, mentre Lorenzo è na­to un anno fa. Sono loro i miei capolavori».