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 2014  marzo 26 Mercoledì calendario

EUROPA, IL VERO CIRCOLO VIZIOSO


Ma non era l’austerità ad alimentare la protesta populista e il rigetto dell’Europa? No, altrimenti il successo del Front National nelle amministrative francesi non si spiega proprio. Di austerità in Francia se ne è fatta assai poca (anzi, a detta di certi professori tedeschi, troppo poca).
Le spinte antieuropee sono potenti, in molti Paesi del continente. Sono pericolose, come ha giustamente denunciato il Presidente della Repubblica. Rinfocolano vecchi odi tra nazioni che sembravano al tramonto. Le loro cause però sono ben più profonde degli asimmetrici aggiustamenti economici che nel 2011 apparvero l’unica via per salvare l’euro.
Le difficoltà in cui si trovano i francesi non possono essere attribuite all’euro, se non per quanto attiene al suo cambio oggi troppo forte rispetto al dollaro. A differenza dell’Italia, i tassi di interesse non si sono mai distaccati molto da quelli tedeschi. Non è mancato il credito alle imprese. Il risanamento del bilancio pubblico procede a passi cauti, senza drammi, senza «stangate».
Eppure il malessere c’è, a Ovest delle Alpi: ottocentomila disoccupati in più, produzione industriale ancora del 14% inferiore ai livelli pre-crisi (contro il nostro 23%). Si stenta ad uscire dalla lunga recessione. Sono, in forma più acuta, problemi comuni a gran parte dell’Europa, abbia l’euro o non ce l’abbia.
Nel cambio di fase dell’economia mondiale che la grande crisi segna, in tutti i Paesi avanzati non è ancora chiaro che cosa ci riserbi il futuro; negli stessi Stati Uniti un economista celebre come Larry Summers ipotizza una «secular stagnation», un ristagno di lungo periodo.
Ovunque, le disuguaglianze sociali aggravatesi negli anni dell’euforia appaiono ora, senza crescita, difficili da attenuare. Nulla esclude che l’instabilità della finanza torni a provocare disastri. Gli immigrati che hanno cambiato l’aspetto delle nostre città possono più facilmente apparire un peso (pur se il preesistente declino del Giappone mostra tutti gli svantaggi del non averne).
Quando il domani appare incerto, si comprende la reazione popolare di volgersi indietro. Marine Le Pen attribuisce all’Europa, in quanto perdita di sovranità, il fatto che la Francia non sia più una grande potenza; cerca di unire su una scelta di tipo reazionario tutti quanti pensano di aver perso, nei grandi mutamenti dell’epoca, un pezzetto di qualcosa.
In Italia, dove a tornare al passato ci avevamo già provato all’inizio dello scorso decennio (la promessa del «nuovo miracolo», il sogno di ritrovare valori, prassi e costumi degli Anni 50), Beppe Grillo ha capito che la paura del futuro si sfrutta meglio proclamando di voler cambiare tutto alla radice. E poiché la nostalgia – del mondo prima della globalizzazione – avvince sia mentalità di destra sia mentalità di sinistra, è essenziale per lui non collocarsi né di qua né di là.
Prima della crisi del debito nei Paesi deboli, l’euro in realtà aiutava l’Italia: leniva con i bassi tassi di interesse un impoverimento già in corso dall’inizio del secolo. La Francia ha ricevuto il privilegio di continuare a illudersi fino a ieri.
Con istituzioni europee migliori, l’austerità degli ultimi anni sarebbe stata meno dura. Ma cambiare era necessario, nei Paesi a cui euro e finanza combinati avevano permesso di vivere al di sopra dei propri mezzi (in termini di conti con l’estero). E non si tratta di un tunnel senza uscita: oltre all’Irlanda, anche il Portogallo è ora sulla via della guarigione.
Altro che decimali di deficit, il circolo vizioso è un altro, è politico: tra i governi che non sanno o non osano fare, e le forze di opposizione che accusando l’Europa di ogni male evitano di formulare proposte credibili. Da qui al 25 maggio, la sfida è romperlo.