Federico Fubini, la Repubblica 26/3/2014, 26 marzo 2014
I FONDI PRONTI A COMPRARE "MA È UNA FIDUCIA A TEMPO RIFORMARE SPESA E BUROCRAZIA"
ROMA
— Erano anni che l’Italia non raccoglieva un interesse simile sui mercati. Con lo spread tornato dov’era due anni e mezzo fa, le quotazioni di Intesa Sanpaolo mai così alte dalla fine del 2008 e il titolo Unicredit risalito ai livelli di metà 2011, il Paese inizia a rivedere i segni del denaro che affluisce dall’estero. Sono talmente tante decine di miliardi, che nella piccola euforia finanziaria di questi mesi un dettaglio rischia di passare inosservato: ciascuno di quegli euro ha una data di scadenza. Non necessariamente è ravvicinata, ma la fiducia che il Paese raccoglie oggi nella City o a Wall Street non è a tempo indeterminato. Sarà soggetta a verifiche ogni pochi mesi.
Giovedì della scorsa settimana un gruppo di investitori si è ritrovato nella sede di Royal Bank of Scotland, nel miglio quadrato della City di Londra. I gestori di fondi presenti erano circa trecento e in aggregato rappresentavano istituzioni che controllano ogni giorno molte migliaia di miliardi di dollari sui mercati globali. Fra gli altri c’erano colossi americani come Blackrock, Fidelity, Blackstone, hedge fund di punta come quello di George Soros o Glg, fondi pensione, banche, più l’antica aristrocrazia europea del risparmio gestito con Schroders. Per una giornata gli investitori hanno ascoltato presentazioni sull’Italia, fra le quali quella di Maria Cannata, la dirigente del Tesoro che gestisce il debito pubblico.
A un certo punto però è stato chiesto ai presenti come la pensavano, con un sondaggio anonimo. Ed è solo allora che è emerso come il Paese oggi goda più del beneficio del dubbio, che di una fiducia definitiva. Moltissimi sui mercati aspettano di misurare la capacità del Paese di cambiare e modernizzarsi, prima di decidere davvero di crederci.
Il 70% degli investitori raccolti ha sì detto che nei prossimi tre mesi «comprerà attivi italiani», mentre solo il 30% non pensa di farlo. L’analisi dei problemi però è venuta subito dopo. In modo sorprendente per un gruppo di operatori finanziari, solo una minoranza pensa che i grandi problemi del Paese nel lungo periodo siano il debito pubblico o i prestiti inesigibili che gravano sulle banche. Quasi tutti guardano alle condizioni reali: per il 21% il principale problema è un mercato del lavoro dalle regole asfittiche. Quasi altrettanti (il 20% della platea raccolta da Rbs a Londra) pensano invece che a pesare di più sull’Italia in prospettiva sia il «rischio politico»: l’incapacità di avere coalizioni stabili e la minaccia dei gruppi populisti e anti-euro come M5S. Terza ombra da rimuovere, secondo gli investitori, quella che riguarda «criminalità e corruzione ». Il debito pubblico viene solo dopo nella gerarchia dei rischi, sintomo e non causa di tutti i mali.
Ovvio dunque che i grandi investitori della City vedano un programma di lavoro già scritto per il governo di Matteo Renzi. Il 37% indica la riduzione della spesa e della burocrazia come la riforma più importante. Il 28% vuole una seria nuova riforma del lavoro e il 21% si aspetta che arrivi a compimento il cammino della legge elettorale. Ancora una volta interventi di tipo finanziario, dalla riforma del fisco e un riassetto delle banche, sono messi in seconda fila fra le cose da fare.
Poi però gli organizzatori di Royal Bank of Scotland hanno chiesto ai loro ospiti: «Pensate che il governo Renzi riuscirà ad approvare riforme sostanziali?». Qui il 38% dei presenti in sala ha risposto di sì e il 62% ha detto di no. Anni di governi italiani che stilano programmi, annunciano impegni, quindi galleggiano fino alle elezioni o al suicidio, hanno lasciato il segno nelle menti degli investitori esteri. Non è un caso se, fra quelli riuniti la settimana scorsa, più di uno su tre (il 35%) ammette di essere frenato dal puntare di più sul Paese dalla «stagnazione nelle riforme». E più di due su tre (il 67%) avverte che proprio l’assenza di progresso nelle riforme potrebbe spingerlo a liquidare le proprie posizioni sull’Italia. La fiducia a Renzi è a tempo. Se finirà nello stesso «pantano» in cui ha accusato Letta di essersi cacciato, gli investitori non tarderanno a farglielo sapere. Voteranno con il portafogli, contro il premier e soprattutto contro l’Italia. Se invece le riforme sul lavoro, la spesa o la burocrazia saranno credibili, allora la piccola euforia dei mercati di questi mesi sarà stata solo l’antipasto. Poi, in teoria, viene la vera ripresa.