Claudio Tito, la Repubblica 26/3/2014, 26 marzo 2014
PIÙ POTERI A PALAZZO CHIGI
QUALCUNO già la chiama “Grande riforma”. Perché il progetto che sarà formalmente presentato lunedì non si limiterà solo a rivedere il bicameralismo perfetto.
E NON ridisegnerà soltanto il raggio d’azione delle Regioni con il nuovo Titolo V della Costituzione. In queste ore sta maturando qualcosa di più. E riguarda i poteri di cui è dotato il governo. Con una novità che potrebbe essere rivoluzionaria per gli assetti istituzionali del nostro Paese. Il presidente del consiglio potrà contare su due nuove facoltà: l’esame preferenziale ed accelerato dei suoi disegni di legge e soprattutto la “revoca dei ministri”.
Al treno delle riforme, guidato dalla locomotiva che deve trasformare le competenze dell’aula di Palazzo Madama, sta quindi per essere aggiunto un vagone straordinario. Che, di fatto, è in grado di correggere la forma di governo così come era stata concepita dal 1948 ad oggi. Il presidente del consiglio non sarebbe più un “primus inter pares” ma verrebbe sovraordinato rispetto ai ministri. Una modifica che avvicina il ruolo del capo dell’esecutivo a quello di altri Paesi europei come la Francia o l’Inghilterra.
Questa soluzione è stata avanzata nelle ultime ore da Forza Italia e sottoposta all’attenzione di Matteo Renzi e del ministro competente, Maria Elena Boschi. È stato recapitato attraverso i canali diplomatici che ormai da circa due mesi sono stati attivati tra il segretario del Pd e via del Plebiscito. Lo stato maggiore berlusconiano ha già pronto un emendamento in questo senso. Del resto è un vecchio cavallo di battaglia del Cavaliere. Che nel periodo in cui sedeva a Palazzo Chigi più volte ha lamentato la necessità di affidare al premier la possibilità di ritirare dalla compagine governativa un singolo ministro. Allo stato infatti esistono due soli modi per revocare un membro dell’esecutivo: le dimissioni volontarie o la mozione di sfiducia individuale (come accadde nel 1995 con l’allora Guardasigilli Filippo Mancuso).
Il punto, però, è che la proposta forzista è stata sostanzialmente accolta da Matteo Renzi. «Io sono d’accordo», ha ammesso ieri. La disponibilità di Palazzo Chigi, allora, ha di fatto accelerato l’esame di un emendamento che potenzialmente rivoluziona l’intera Carta costituzionale. Il ragionamento che gli uomini della presidenza del consiglio stanno compiendo in questa fase è piuttosto netto: «Per governare efficacemente nel XXI secolo serve soprattutto velocità. Approvazione o bocciatura rapida dei disegni di legge e capacità di mantenere la sintonia con tutti i componenti della squadra». La revoca dei ministri disposta dal presidente del consiglio garantirebbe una delle due esigenze. La seconda è contenuta nell’articolo 72 dell’attuale bozza di riforma: «Il governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro 60 giorni ». Una vera e propria “ghigliottina”, già prevista in forma più blanda nei regolamenti di Camera e Senato (a Montecitorio è stata utilizzata solo una volta a gennaio scorso sul decreto Imu-Bankitalia) ed ora potenziata con una disposizione costituzionale.
Nella bozza circolata ieri, non era stata ancora inserita la modifica concernente la revoca dei ministri. Non è stato fatto perché stasera Renzi ha un appuntamento piuttosto delicato: l’assemblea congiunta dei gruppi Pd. In quella sede il premier dovrà provare a convincere i deputati e i senatori della necessità di impegnarsi sull’intero pacchetto di misure. E i due nodi che solleveranno dubbi e perplessità saranno proprio il rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio e la “riduzione” del Senato. Il segretario democratico dovrà persuadere i Gruppi in vista anche della direzione del partito convocata sullo stesso tema per venerdì. Ma dovrà mettere nel conto che una parte dei democratici e della sua stessa coalizione di governo, non accetterà di dare senza battaglia il via libera. «Al Senato — fa ad esempio notare il lettiano Francesco Russo — forse non c’è quella maggioranza di governo che alla Camera danno tutti per scontata. Le riforme si fanno solo bipartisan». Del resto qualche minaccia è stata già ieri ventilata in occasione delle votazioni sull’abolizione delle province. E l’ex ministro Mario Mauro, ex Scelta civica ed ora Popolare per l’Italia, con un sorriso ironico ieri diceva: «Dite che mi sto vendicando perché mi ha fatto fuori dal governo? Mi sorprende che lo pensiate...».
Renzi sembra comunque intenzionato a tirare dritto. «Noi — ripete — facciamo sul serio perché vogliamo trasformare il Paese. Abolire le province, abbandonare il bicameralismo perfetto e governare davvero». Il suo obiettivo però resta quello di fare rapidamente: «Lunedì vogliamo essere pronti».
Forse anche per stemperare il clima sono state accolte alcune modifiche che riassegnano al Senato una serie di poteri configurandolo come Camera Alta. Potrà ad esempio chiedere di correggere le leggi riguardanti gli enti locali, quelle sui sistemi elettorali e sulla cosiddetta clausola di salvaguardia che permette allo Stato di legiferare oltre propri limiti su materie spettanti alle regioni.
Il capo del governo, però, con ogni probabilità dovrà persuadere anche il Quirinale. I poteri sulla nomina dei ministri, infatti, per il momento spettano solo al presidente della Repubblica: «Il Presidente della Repubblica — recita l’articolo 92 della Costituzione — nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». Nessun cenno alla revoca. Ma affidare questa possibilità al premier equivale a ridimensionare il peso del capo dello Stato sulla formazione dell’esecutivo.
Insomma gli ostacoli non mancano. Ma la battaglia per la “Grande riforma” è dunque iniziata.