Erika Riggi, SportWeek 22/3/2014, 22 marzo 2014
I CAPELLI? VANNO E VENGONO
Chiamatelo, se volete, horror vacui. Sia verde come un’area di difesa senza compagni in vista, bianco come una pagina prima d’esser scritta, lucido e glabro come una testa pelata: un campo sgombro può generare nel soggetto predisposto vertigini, angoscia, confusione e reazioni inconsulte. C’è chi alza le spalle e se ne fa una ragione: l’ispirazione verrà, i compagni anche, i capelli no, ma pazienza. La vita è altro, il calcio (sorpresa!) pure. E poi c’è chi si incaponisce e difende la porta contro ogni evidenza. Questione di carattere: al punto che, senza volerne fare un trattato di psicologia tricologica, l’attaccamento del maschio-palla-al-piede alla sua dotazione pilifera la dice lunga sulla sua stoffa di sportivo e, persino, di uomo.
Prendete la schiera degli “irriducibili”. Altrimenti detti: non rassegnati. Ne fanno parte Conte e Schillaci: tipi tenaci, che in campo davano il sangue. Avevano teste tanto dure quanto naturalmente spelacchiate, ma il look da gregario alla Adelmo Paris poco s’attagliava alle loro ambizioni vitalistiche ed estetiche. La calvizie è un gol preso: reduci dai passi falsi giovanili nel territorio dei mimetici (vedi Rooney), fatto il grande trapianto, lo ammettono. I loro successi in campo hanno risposto agli sfottò delle curve meglio di tante conferenze stampa e qualche tweet.
Ci sono poi i “concreti”, o fatalisti: quelli che se ne fregano. Per loro i capelli contano quanto le condizioni atmosferiche durante la partita, e molto meno delle scarpe. Gente con la faccia da bidello delle Elementari che si è sentita schernire per anni – gloria ad “Attilio Lombardo pelato bastardo” – senza tradire ombra di tormento. Gente che pensava a correre duro sulla fascia più che ai dribbling, e alle fiale di cheratina. Da Fanna a Ballotta, il loro stile oscillava tra lo spaventapasseri e il frate pensoso (grande fronte, grandi pensieri). Rare le tentazioni di riporto alla Charlton: i colpi di vento in campo sono prove dure per tutti. Da applausi gli esiti alla Paletta: vorrei ma non posso? Me ne infischio e oso: lunghezza-spalle su alopecia galoppante.
Più allettante, la tabula rasa. Cedono (fingendosi) gaudenti i “mimetici”: più astuti che tenaci, sono troppo orgogliosi per (dichiarare) il trapianto, troppo esteti per un’alzata di spalle. Da Vialli a Zenga, aggirano l’avversario, a filo di fuorigioco, in modo che sembri una scelta. Chapeau.
Infine, le “popstar”: da George Best a Cristiano Ronaldo, passando per Meroni e Balotelli. Quelli che il taglio di capelli non crea, ma consacra, fenomeni. Trendsetter perché campioni, in grado di diventare simboli di un’epoca: che siano i favolosi Anni 70 di zazzere e basettoni o quella – meno poetica – del crestino truzzo con orecchino abbinato. I fasti sono per l’apripista. Si fanno sconti agli emuli se portano risultati. Punizioni per chi fraintende, s’acconcia e fa cilecca: vedi Zaza, passato dalla cresta da mohicano alla panchina del Sassuolo.
Macrocategoria, i “superdotati”, da Caniggia a Kempes (su di loro, anche un blog: calciatoricapelloni.wordpress. com). Possono essere “concreti”, se lasciano andare le chiome come vanno (da Paolo Maldini a Batistuta) o, appunto, “popstar”. Il primo gruppo è meno nutrito oggi che in passato, perché se un tempo il crespo faceva simpatia quanto pancetta e gambe storte, nel dopo Beckham è out. Nostalgia canaglia? Rassegnatevi. Tra i capelloni, i “perfettini”, alla Javier Zanetti: non ha carisma da “popstar”, ma tiene al ciuffo quanto Linus alla coperta. Se la natura non lo avesse ben dotato sarebbe certo un “irriducibile”. Ma tant’è, siamo felici per lui, e gli auguriamo imperitura chioma.
Erika Riggi (ha collaborato Giovanni Cortinovis)