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 2014  marzo 25 Martedì calendario

PERISCOPIO


Voglio essere giudicata per le riforme e non per le forme. Maria Elena Boschi, ministro per le riforme. Porta a porta.

Non mi sono mai lamentato, però faccio notare che prendo la metà del mio predecessore che ha lasciato 2 miliardi di perdite mentre io le Ferrovie le ho riportate in utile: 450 milioni di utile. Mauro Moretti, a.d. di Ferrovie. Corsera.

«Se Renzi gli taglia lo stipendio, Moretti se ne va». «La classica fava che prende due piccioni». Vignetta di Sergio Staino. Corsera.

D’annuncio, il poeta che momentaneamente ci governa. Vincino. Il Foglio.

Scendo da casa e trovo nella buca l’avviso di una raccomandata «Indiscritta». L’ha infilata il postino e il pre-stampato a me intestato dice che non mi ha trovato in casa. Lo sapeva a priori, è un profeta. Invece io ero in casa e due corrieri privati mi hanno consegnato, in quegli stessi minuti, due plichi. È una storia che si ripete da tempo. Il postino fuggitivo reputa più prezioso il suo minuto che avrebbe perso a citofonare per recapitarmi la lettera, piuttosto che la mia ora perduta per andare alla posta, fare la fila e poi sapere che è finita in un altro ufficio postale. Il suddetto fantasma non mi scrive nemmeno di cosa si tratta in modo che possa valutare l’urgenza o la rilevanza della raccomandata. Marcello Veneziani. Il Giornale.

Renzi, il turbo fiorentino, ha la mania dei record. Cinque riforme in cinque mesi (vedremo). Due maggioranze, una per le riforme e una per i giorni feriali. E, a ben guardare, nel suo governo, di governi ce ne sono tre, uno dentro l’altro come le matrioske. Il primo è quello della bella presenza: il più giovane, il più snello, il più rosa, buono per i titoli sui giornali. Il secondo è quello che conta e fa di conto. Guidato dal ministro dell’economia Padoan, presidia via XX Settembre con un blocco di tecnici che dovranno piacere a Bruxelles e a Berlino. Il terzo è il sottogoverno degli affari e degli inciuci, quello dei sottosegretari così impresentabili che persino Alfano e costretto a cacciarne uno (il prode Gentile). Antonio Padellaro. Il Fatto.

Questo ventennio politico è nato male perché non c’è stata legittimazione. Prima si era legittimati da Mosca e da Washington, magari, ma si era legittimati. Dal ’94 in poi, chiunque vincesse era l’usurpatore: usurpatori i comunisti e usurpatore il Caimano. Si cominciava con le accuse di brogli la sera delle elezioni e si andava avanti così sino alle elezioni successive. E poi la Seconda repubblica è fondata sul sospetto che la giustizia fosse amministrata a beneficio di una parte. Una mostruosità. E ce la trasciniamo ancora oggi. Giuliano Urbani. La Stampa.

Meno di un anno fa, il 25 marzo 2013, l’allora capo del governo incaricato Pier Luigi Bersani consultò per un’intera giornata le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. Ma anche il Wwf, Legambiente, Greenpeace, il Touring Club, il Fai, il Club alpino, e la Federazione Pro Natura. Nonché don Ciotti e il Forum dei giovani. Il giorno prima da Bersani erano saliti la Confindustria di Giorgio Squinzi e altre cinque associazioni imprenditoriali, oltre al presidente del Censis Giuseppe De Rita. Come andò a finire è noto: «Consultazioni non risolutive», decreto Giorgio Napolitano, passando la palla a Enrico Letta. Il Foglio.

I nostri nonni – forse – pagavano le donne perché a loro toccava una sola femmina per tutta la vita. I nostri padri – forse – pagavano per riempire le estati vuote, quando le mogli erano in vacanza con i pupi. Noi, i nati nei Cinquanta, armati di pillola e di ogni tipo di anticoncezionale casareccio (avevo un’amica che giurava fosse ideale una lavata di Coca-Cola, dopo ogni rapporto, non ho mai provato) avevamo sognato di bastare a noi stessi. Fra i Settanta e gli Ottanta, sembrava che i rapporti non somigliassero più alle prigioni ipocrite di chi ci aveva preceduto. Ciascuno stava con chi sceglieva. Una esigua minoranza continuava a pagare per consumare carne, nessuno si scandalizzava più di tanto. La chiesa e i benpensanti mai si sarebbero scagliati contro i ragazzi e le ragazze di vita che, dalle borgate pasoliniane ai Parioli, commerciavano in corpi. Barbara Palombelli. Il Foglio.

Chi ha scelto di votarsi allo studio della letteratura e delle lingue e dell’arte e della musica e della filosofia e della religione e della storia è la resistenza. Ha avuto la sfrontatezza di scegliere l’interpretazione rispetto al calcolo, e di riconoscere che il calcolo non può fornire un quadro accurato, o un quadro approfondito, o un quadro completo, di esseri che si auto-interpretano quali noi siamo. Leon Wieseltier, capo della cultura del settimanale americano New Republic.

La Fiera di Milano era un evento. I telegiornali ne parlavano prima che si tenesse. Come il Festival di Sanremo. Era, quella un’Italia dove, per fare un’interurbana, bisognava prenotarsi e gli aeroporti erano frequentati solo da vip e sportivi. Ma oggi? Nell’epoca della rete, di Skype, delle linee aeree low cost e del cibo a chilometro zero, che senso ha una esposizione universale come Expo 2015. Dà lavoro, si sostiene. Principalmente alle procure, verrebbe da dire, che già ne hanno tanto. Massimo Bordin. Il Foglio.

Le Regioni attuali sono solo fumo negli occhi, poltronifici, uso e abuso di soldi pubblici che sfuggono al controllo del cittadino, una pura rappresentazione senza significato. Beppe Grillo. la Repubblica.

Se negli ultimi cinque anni abbiamo prodotto un altro milione di disoccupati, quanto dovremmo dare agli occupati di più perché quel milione vada a spendere i soldi che non ha? Nel mondo, a parte noi, non lo sta facendo nessuno. Deaglio ha scritto che se diamo soldi i ceti bassi, la Cina ringrazia. Giacomo Vaciago, economista. La Stampa.

Ciò che temo di più è di non potere più bere del buon vino dopo la mia morte. Questo è duro. Jim Harrison. Le Point.

Io l’amo, perché amare è essere vivi assieme. Isabelle Marrier, Le reste de sa vie. Flammarion.

Certo che la fortuna esiste. Altrimenti come potremmo spiegare il successo di quelli che non ci piacciono? Jean Cocturan. Le Monde.

Luca di Schiena entra nelle redazioni dei giornali e, incurante del ridicolo, dice con voce solenne: «Ecco, arriva la signora notizia». E allora tutti le fanno l’inchino. Sergio Saviane, Video malandrino. SufarCo, 1977.

Solo quando parlo male di qualcuno mi sento sincero. Roberto Gervaso. Il Messaggero.