Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 25 Martedì calendario

VENETO, MIX DI INDIPENDENTISMO E RIVOLTA FISCALE


Metti il Veneto al posto della Padania, l’indipendenza al posto della secessione, Gianluca Busato sosia di Umberto Bossi, il web invece delle sezioni di partito leghiste, una in fila all’altra a presidiare le piccole patrie della Pedemontana, da Zermeghedo a Godega di Sant’Urbano, il 2014 dove il calendario segnava il 1996. Ed ecco il remake delle convulsioni separatiste, una passione più o meno inconfessabile per una buona metà dei veneti, con il corollario delle bandiere rosse effigiate del Leone di San Marco al vento, l’invito perenne alla rivolta fiscale e il sempreverde «padroni in casa nostra».
Dilettanti? Tutt’altro. Solo che le onde di piena dell’indipendentismo trascinano con sé i detriti che la storia sadicamente accumula invece di spazzar via. Il frazionismo, malattia infantile ed endemica del venetismo, con movimenti e movimentucoli in eterno conflitto tra loro già ai tempi della Liga, la madre di tutte le Leghe, almeno fino a quando Umberto Bossi da Cassano Magnago non le sottomise al suo verbo egemonico con una serie interminabile di purghe di cui fu vittima nel ’96 lo stesso Gianluca Busato, in queste ore il salvatore della patria e della questione veneta.
Di purga in purga, la Lega si è fatta anoressica e gregaria, così istituzionale da far trasmigrare gli slogan che le portarono messe di voti in quei territori con i gazebo e le sezioni in disarmo dove una nuova generazione di separatisti tenterà la conquista della terra promessa, Palazzo Ferro-Fini, sede del consiglio regionale di Venezia. Perché questa è una delle poche novità rispetto ai tempi dell’heimat bossiana sempre invocata e sempre sospesa per impraticabilità del campo. La partita finale si giocherà tra un anno, con la prossima tornata di elezioni regionali. Dice Geremia Agnoletto, vice della Life, Liberi imprenditori federalisti europei, l’associazione fondata nel 1994 da Fabio Padovan, pure lui purgato dal senatùr nemmeno 24 mesi dopo l’ingresso nella Lega e la nomina a deputato: «Creeremo un fronte unico dell’indipendentismo. Presa la Regione, approveremo il referendum consultivo che per noi, in caso di vittoria, avrà valore definitivo. Il primo prefetto che varcherà i confini veneti per contestarci l’autodeterminazione finirà in Laguna. E con lui i giudici della Corte costituzionale che si opporranno alla proclamazione dello Stato indipendente». Sembra una variante nordista del pensiero anticontinentale del giovane Gramsci: «I nazionalisti? Buttiamoli in laguna».
Agnoletto è vice di quel Lucio Chiavegato che da presidente della Life ha guidato la rivolta dei forconi del dicembre scorso. Ribelli e indipendentisti, un po’ come il loro padre storico, quel Padovan che si appunta sul petto le 19 denunce penali per reati che vanno dalla diffamazione al vilipendio. La loro parola d’ordine è «far fuori la Lega». Sembra di sparare sulla Croce Rossa, ma non è che gli altri partiti possano vantare smaglianti condizioni di salute. Forza Italia stenta a scovare persino il candidato sindaco per le prossime elezioni comunali di Padova, la città in cui il Pd correrà con due candidati diversi. La vecchia tripartizione dei consensi che ha retto per vent’anni (un terzo Forza Italia, un terzo Lega, un terzo Pd) si è squagliata con l’implosione della seconda repubblica.
La crisi economica, con il precipitato di depressione e malcontento, produce un ecosistema ideale per la rilegittimazione dei movimenti indipendentisti ormai avvinghiati alle gesta di catalani e scozzesi. Padova e il Veneto covano insofferenza da tempi non sospetti. La seconda metà del novecento è stata flagellata dalla destra stragista di Freda a Ventura, l’autonomia operaia di Toni Negri e la Liga di Franco Rocchetta. Una carica eversiva di cui il mite, laborioso e quasi curiale Veneto è stato il brodo di cultura. Potrebbe essere così anche per il rinascente separatismo. Marzio Favero, laurea in filosofia, leghista eretico e sindaco di Montebelluna, pone il quesito a modo suo: «Il Veneto senza l’Italia ce la può fare. Ma l’Italia senza il Veneto?».