Sergio Romano, Corriere della Sera 25/3/2014, 25 marzo 2014
ARRIVA IL GAS DA ARGILLE. LA RISPOSTA DELL’EUROPA
L’Europa, già in difficoltà, si sente ora minacciata dal boom energetico degli Usa, merito dello «shale gas», riserva apparentemente inesauribile e dai costi considerevolmente più bassi rispetto alle altre fonti energetiche. Questa improvvisa ricchezza a basso costo, consente agli Usa di ridurre notevolmente i costi di produzione, a vantaggio dell’esportazione. I cittadini ne hanno tratto immediatamente beneficio, con la benzina venduta a mezzo dollaro al litro e con la produzione e vendita di autoveicoli, che hanno raggiunto i livelli pre-crisi. Nei prossimi anni, gli Usa mirano non solo a diventare autosufficienti nelle fonti energetiche, ma anche competere a livello mondiali con i principali produttori, come la Russia e gli Stati arabi. Che prospettive può avere l’Europa di fronte ad una situazione del genere, con tutti i «distinguo» a cui siamo abituati? Si può parlare ancora di Europa, oppure ciascun Paese dovrà trovare la soluzione in casa propria?
Arturo Passalacqua
arturo.passalacqua@hotmail.it
Caro Passalacqua,
I l gas da argille, come si è deciso di chiamarlo in italiano, esiste anche in Europa. In un libro recente di Giuseppe Recchi, presidente dell’Eni (Nuove energie, edito da Marsilio) vi sono dati e informazioni molto interessanti. Le ricerche più promettenti sono quelle iniziate in Gran Bretagna, dove gli scavi sono già regolati da una legge, e in Polonia, dove le risorse tecnicamente recuperabili sarebbero 4.000 miliardi di metri cubi (l’Italia ne consuma ogni anno circa 70). Anche la Francia ha considerevoli giacimenti, ma lo sfruttamento non piace e larghi settori della pubblica opinione e la perforazione è stata proibita con una legge. Movimenti ostili sono presenti anche in Germania, nei Paesi Bassi, in Spagna e in Romania, dove gli ambientalisti sostengono che il consumo dell’acqua necessaria per l’estrazione, sarebbe esorbitante. Russia e Cina non hanno ancora deciso che cosa fare e la prima, in particolare, si sta chiedendo quale impatto il nuovo gas avrà sul mercato degli idrocarburi e quindi sulla sua maggiore risorsa nazionale.
Il problema, per quanto concerne l’Europa, non è soltanto tecnico ed economico; è anche giuridico e culturale. La rapidità con cui gli Stati Uniti hanno iniziato le perforazioni, non appena la tecnologia ha permesso la frantumazione orizzontale delle rocce scistose, è stata resa possibile anche dal regime del sottosuolo. In America il proprietario della terra è anche proprietario dei diritti minerari, e nessuno può impedirgli di venderli o concederli in affitto per periodi più o meno lunghi. In Europa, invece, il sottosuolo appartiene generalmente al demanio e lo sfruttamento dipende necessariamente da una decisione politica inevitabilmente soggetta a considerazioni elettorali. Temo che Recchi abbia ragione quando osserva che il fenomeno americano è difficilmente replicabile in Europa.
Dovremo quindi continuare a dipendere dalla Russia e da altri Paesi più o meno affidabili? La risposta è nelle nostre mani. Non siamo soltanto clienti. Siamo anche necessari alla Russia per la sua modernizzazione e membri dell’Unione Europea. Ma potremo fare sentire il nostro peso soltanto se riusciremo ad accordarci su una politica energetica comune. Il caso dei gasdotti e degli oleodotti è particolarmente indicativo. Sono ormai numerosi, ma costruiti quasi sempre in una prospettiva nazionale. Se riuscissimo a trasformarli in una rete comune, nessun fornitore avrebbe il potere di usare il suo rubinetto come una pistola puntata contro la nostra tempia .