Umberto De Giovannangeli, L’Unità 22/3/2014, 22 marzo 2014
L’ITALIA E IL SOUTH STREAM NELLA «PARTITA DEL GAS»
Silvio Berlusconi , da premier, ne aveva farro l’asse portante del «patto del gas» con l’amico Vladimir. Ora, però, la crisi ucraina mette a rischio South Stream, e le commesse miliardarie legare alla sua realizzazione. A lanciare l’allarme è stato l’ad di Eni, Paolo Scaroni. Il futuro del gasdotto South Stream è «piuttosto fosco», avverte l’amministratore delegato del Cane a sei zampe, rispondendo nel corso di un’audizione l’altro ieri alla Camera. Le tensioni tra Ue e Russia per la crisi ucraina, ha sottolineato Scaroni, possono portare «le autorità europee a mettere in discussione le autorizrazioni» per la costruzione dell’infrastruttura che dovrebbe portare il gas russo bypassando Kiev. Per quanto riguarda l’ordine da 2 miliardi di euro ottenuto dalla controllata Saipem nell’ambito della costruzione dell’opera, Scaroni ha affermato che «non so se verrà portato avanti».
AFFARI MILIARDARI
Questo, per l’Italia, vorrebbe dire perdere il ricco contratto per al costruzione del , gasdotto che porterà il gas siberiano nei Paesi dell’eurozona a partire dal 2015 passando sul fondo del Mar Nero. Dando seguito alla promessa di Gazprom che aveva anticipato un’accelerazione nelle gare di appalto, per avviare il gasdotto entro il 2015 il consorzio South Stream Transport ha appena assegnato all’italiana Saipem un contratto da 2 miliardi di dollari per costruire la prima delle quattro linee del tratto sottomarino di South Stream.
Più nel dettaglio, la controllata dell’Eni, guidata da Umberto Vergine, si e aggiudicata i lavori sia per la realizzazione della prima condotta sottomarina del «tubo» sia quelli per la connessione alla terraferma di tutte le quattro linee previste dal progetto, ciascuna lunga oltre 931 chilometri, dalla Russia alla Bulgaria, uno dei sette Paesi di transito dell’infrastruttura, insieme ad Austria, Croazia, Grecia. Slovenia, Ungheria e Serbia. Cambiare percorso, in una fase cosi avanzata, comporterebbe come minimo un forte allungamento dei tempi e Mosca non sembra disposta ad aspettare.
INTERESSE DIVERGENTI
Prima di posare le linee successive, tuttavia, un ripensamento potrebbe anche arrivare, se Gazprom riuscisse a convincere i soci stranieri della tratta offshore: Eni (20%), più la francese Edf e la tedesca Wintershall (ciascuna col 15%). Il numero uno di Gazprom, Alexey Miller, nonostante le tensioni di queste settimane con la Commissione Europea, che ha annunciato l’intenzione di congelare i colloqui sul gasdotto, aveva ribadito la tabella di marcia del progetto. «Il South Stream verrà completato nei tempi stabiliti. Non d sono dubbi che il gas inizierà a scorrervi a dicembre 2015». Ma le cose sono molto più complicate. Tant’è che nei giorni Bruxelles ha esortato a rinegoziare, in quanto «illegali» gli accordi intergovernativi siglati con la Russia dai Paesi di transito del «tubo».
La «partita del gas» si gioca su due fronti: quello russo-ucraino e il fronte interno all’Europa. Riflette in proposito Lorenzo Colantoni, brillante analista di Limes, la rivista italiana di geopolitica: «Una politica energetica europea di successo ha però bisogno dell’appoggio dei suoi Stati membri. In questo, l’Ue è molto distante dall’essere unita. Il continente europeo si caratterizza per un panorama energetico estremamente eterogeneo, dove alcuni Stati importano più dell’80% del proprio fabbisogno energetico (è il caso dell’Italia) e altri il 40% (del Regno Unito), vittima della mancanza di volontà nel perseguire una politica energetica comune».
Così, accade che tra i partner del gasdotto russo South Stream, il peggior rivale dell’europeo Nabucco, figurino, per l’appunto, l’italiana Eni e il gigante francese Edf. Allo stesso modo, nel corso della crisi del gas del 2009 –ricorda ancora l’analista di Limes – solo l’intervento di Angela Merkel aveva permesso alla Commissione europea di vedersi assegnata la missione di monitoraggio per risolvere la disputa. La cancelliere aveva però difeso strenuamente il controverso gasdotto North Stream: senza voler contare le implicazioni ambientali, la struttura ignorava 4 Stati membri (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia), finanziando un’operazione i cui soci, tedeschi e russi, erano guidati dall’ex cancelliere della Germania Gerhard Schroder. Difficile vedere una politica energetica europea in tutto questo.
D’altro canto, la società Gazprom Export, che gestisce il trasporto di gas naturale, ha creato le due reti, North Stream e Yamal, proprio per diversificarsi dal gasdotto che passa in Ucraina. Ma, mentre la capacità della rete ucraina è di 100 miliardi di metri cubi (dato del 2013), quella di North Stream e Yamal è rispettivamente di 55 Bcm e 33 Bcm. Il che significa che la rete ucraina non è aggirabile da Gazprom. Annota in proposito Matteo Verda, ricercatore associato dell’Ispi: «Nel 2013 il 43% dei consumi di gas nel nostro Paese, pari a 29,5 miliardi di metri cubi, è giunto al rubinetto del Tarvisio, dove arrivano le pipeline che portano gas di produzione russa. Tutto il flusso è passato per l’Ucraina, pur se a regime la percentuale scende al 30%». Nel 2012 la lista dei più grandi acquirenti di gas da Gazprom era capeggiata dalla Germania, seguivano Ucraina, Turchia, Bielorussia, Italia, Polonia, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria.
Conclusioni: Bruxelles minaccia sanzioni all’indirizzo del Cremlino. Il problema è che eventuali restrizioni economiche rischiano di ritorcersi contro l’Europa o almeno contro quegli Stati dell’Europa occidentale come Germania e Italia maggiormente dipendenti dalle importazioni di gas dalla Siberia e con un forte interscambio commerciale con Mosca. South Stream e non solo.