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 2014  marzo 25 Martedì calendario

AVANZA IL BRANCO SELVAGGIO. LUPI, CERVI E CINGHIALI SI SONO RIPRESI I BOSCHI

Il rinnovato censimento sulla fauna selvatica italiana, in corso di realizzazione da parte dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, rivela che i nostri boschi sono custodi e protettori di un numero sempre più grande di animali liberi di grossa taglia. Sì, sono in crescita, in alcuni casi in crescita non controllata. E stanno trasformando l’Italia in un unicum europeo: un serbatoio di biodiversità ritrovata.
L’entroterra abbandonato dai cittadini, soprattutto lungo l’arco appenninico, oggi conta un milione e 700 mila animali di taglia, quasi tutti ungulati. Negli ultimi dieci anni i cinghiali sono cresciuti da 600mila a un milione. I cinghiali sono diffusi sui due terzi della penisola, isole comprese. Su tutte e venti le regioni. Su 95 province di 107 totali. Sono in collina e in montagna. E la specie cresce, quasi ovunque. Nell’immediato dopoguerra i cinghiali scomparvero dal versante adriatico e il primo ripopolamento si avvistò solo nei Sessanta. Oggi in tutte le province di Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna (tranne Ferrara), Toscana, Marche, Umbria e alcune lombarde la specie è sottoposta a controllo – una media di centomila abbattimenti l’anno – e all’insidia regolamentata dei cacciatori. Nonostante questo, il prolifico cinghiale, ospitato da una macchia sempre più inospitale per l’uomo, continua ad allargarsi. «Un gruppo in movimento», spiega Luigi Boitani, ordinario alla Sapienza di Biologia della conservazione, «fa cento volte i danni di un lupo». Nove dei ventidue parchi nazionali hanno avviato programmi di contenimento.
Nei boschi italiani stanno aumentando animali meno invasivi, non certo temuti. Secondo il report in aggiornamento dell’Ispra i caprioli oggi sono quasi mezzo milione, diffusi su un terzo del territorio: erano diecimila nel 1945. Sono 140mila i camosci alpini e 1.500 quelli appenninici, centoventi in più negli ultimi dodici
anni. Sono 68mila i cervi e se le Alpi da Udine ad Aosta restano uno dei loro quattro habitat più importanti d’Europa, recentemente l’espansione si è osservata sull’Appennino, al Sud (i parchi nazionali del Cilento e del Pollino) e in Sardegna (ottomila esemplari quando nel 1940 il cervo era scomparso). Ventunomila i daini,
e in ventitré province devono essere controllati. Ventimila i mufloni con quaranta colonie nelle Alpi. Sedicimila gli stambecchi, in arretramento tuttavia nel Gran Paradiso, unica colonia naturale. I lupi sono 1.350 e popolano comunità dalla Calabria al Piemonte. Ecco, queste sono tutte specie in aumento con habitat
favorevoli presenti e futuri eccetto lo stambecco, ospitato in maniera inadeguata secondo le schede Ispra. Si assiste al ritorno della lince a Tarvisio e in Piemonte, solo l’orso, a fronte degli aumenti in Trentino e le recenti perdite in Abruzzo, mantiene la famiglia italiana sui cinquanta esemplari.
Il professor Boitani conosce il terzo rapporto “Direttiva Habitat 2007-2012”, commissionato dall’Europa ed eseguito dall’Ispra, e spiega: «La vera ragione della crescita generalizzata della grande fauna è che l’Appennino si è svuotato. Non c’è programmazione, c’è spopolamento umano. Non c’è più agricoltura marginale,
montana e collinare. Siamo fermi alla legge sulla caccia, dovremmo varare una legge di tutela della fauna con l’obbligo di piani di gestione delle specie per ogni territorio ». Il biologo Francesco Petretti, direttore scientifico della rivista Silvae.it della Forestale, dice: «L’Italia va in controtendenza, un incremento degli animali così non si è verificato negli ultimi cento anni». Per la prima volta dopo molto tempo, «siamo chiamati a studiare gli effetti di una ricolonizzazione animale e vegetale», dice Cesare Patrone, capo del Corpo forestale: «Questa volta disponiamo di tutti gli strumenti scientifici e culturali necessari per evitare il predominio dell’uomo».