Teresa Numerico, l’Unità 23/3/2014, 23 marzo 2014
LA GUERRA DELLE URL – [TUTTI GLI INTERESSI E LE FORZE IN GIOCO DELLA RETE]
CHI RITIENE CHE INTERNET SIA UNO SPAZIO VIRTUALE GOVERNATO DA REGOLE INDIPENDENTI DA QUELLE VIGENTI NEI CONFINI NAZIONALI E CHE LA SUA IMMATERIALITÀ la renda priva di vincoli dovrà ricredersi pensando al sistema di assegnazione dei nomi di dominio delle pagine web. L’insieme delle macchine e dei loro meccanismi di funzionamento che ci consentono di trovare le pagine web costituisce la prova della materialità della rete. Si chiama Domain Name System (Dns). Esso mantiene la lista dei collegamenti tra il nome di dominio, cioè la stringa di testo che ci porta in un sito (per es. www.unita.it il nome del sito del giornale) e il numero (indirizzo IP) della macchina sulla quale il sito risiede, una specie di sofisticato elenco telefonico. Le macchine comprendono solo numeri, ma gli esseri umani hanno bisogno di testi da memorizzare. Il Dns è un processo di traduzione capace con il suo protocollo di regolare l’accesso alle pagine permettendo il dialogo tra macchine e esseri umani.
L’organizzazione delle macchine che conservano «l’indirizzario» della rete è strettamente gerarchica e costituisce una risorsa strategica che deve essere preservata e governata. Se per qualche motivo la root zone (la zona origine) finisse sotto attacco nessuno più riuscirebbe ad accedere a una qualsiasi pagina web.
Il sistema di assegnazione dei nomi non riguarda, però, solo i rischi di default della rete, ma anche le decisioni sulle attribuzioni dei nomi legati a marchi o in generale a imprese commerciali o persone famose. Fino all’inizio degli anni ’90 la rete si era in un certo senso autorganizzata sull’attribuzione dei nomi. Jon Postel, uno dei pionieri di Internet, veniva considerato l’autorità che assegnava prima i numeri alle macchine e successivamente i nomi di dominio. Ma nel corso degli anni ’90 del secolo scorso la sua autorevolezza finì sotto pressione da parte del Governo americano. In concomitanza con la sua prematura scomparsa nel 1998, venne fondata una istituzione no-profit che avrebbe avuto il contratto per la gestione dei nomi di dominio per conto del Dipartimento del Commercio Usa.
Si trattava dell’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), un organismo formalmente non governativo con un board di 16 membri provenienti da tutte le aree geografiche dove è presente la rete, attualmente presieduto da un egiziano, Fadi Chehadé. L’agenzia ha un bilancio che supera i 200 milioni di dollari con circa 300 dipendenti e gestisce oltre 150 milioni di domini.
Gli Stati Uniti hanno deciso di abbandonare il proprio ruolo nella governance della rete. A settembre del 2015 quando scadrà il contratto con l’Icann, la Ntia (National Telecommunication and information administration), l’agenzia del Department of Commerce che si occupa di Internet ha dichiarato che non sarà più coinvolta direttamente.
È innegabile che la tutela del Ministero del Commercio Usa era almeno bizzarra, dal momento che la rete è una infrastruttura internazionale. Ma la presenza nel board dell’Icann di diverse nazionalità è una foglia di fico che non può trarre in inganno. Il ruolo di guida economica e politica della rete è stata finora saldamente in mano agli Stati Uniti. La naming authority non prende decisioni in contrasto con la legislazione sul copyright e sulla protezione dei marchi.
L’egemonia americana è notevole anche sul piano linguistico. L’introduzione di domini che non siano scritti nell’alfabeto inglese è un processo lento e farraginoso tuttora in atto. Persino l’inclusione delle vocali accentate che utilizzano sempre lo standard Ascii, sia pure in un’estensione del codice base, è un affare di stato. Solo da poco è possibile introdurre caratteri accentati o speciali nei domini, a prezzo comunque di varie complicazioni (il dominio nazionale.it lo consente solo dall’11 febbraio 2012). Alcuni dei domini di primo livello delle origini come .mil .edu .gov possono essere usati solo da istituzioni americane. L’aumento di domini di primo livello è stato un compito molto laborioso, non ancora completato.
La situazione era ormai insostenibile per gli americani anche a causa dello scandalo sullo spionaggio in rete dell’Nsa. Tuttavia nell’opera di “deconolizzazione” alla quale gli Stati Uniti si accingono, i problemi non mancano. Per prima cosa preservare l’integrità della rete e la sua neutralità. La possibilità di una sua balcanizzazione nel caso non si trovasse l’accordo tra i contendenti è tutt’altro che remota, come suggerisce al New York Times Laura DeNardis, che ha recentemente pubblicato un testo su «La guerra globale per la Governance di Internet». Inoltre Russia e Cina, i principali oppositori dell’egemonia degli Stati Uniti, non sono campioni nella difesa della libertà di parola. Aumentare il loro potere nell’ambito dell’Icann, o dell’organismo che gli succederà, potrebbe rappresentare un rischio di aumento della censura in rete.
Nel comunicato stampa del 14 marzo scorso si afferma che «Ntia non accetterà una soluzione che sostituisce il suo ruolo con quello di una struttura guidata da governi o da un’organizzazione intergovernativa». Il progetto americano appare quello di rientrare dalla finestra definendo una Governance per la rete che sia l’espressione del settore privato, eventualmente includendo anche aziende private di portata multinazionale. Si tratterebbe semplicemente dell’attuazione dell’ultimo passaggio del processo di privatizzazione dell’infrastruttura della rete iniziato dopo il 1995. Internet, infatti, dalle sue origini agli anni ’90 fu interamente finanziata dagli Stati Uniti.
Dal 23al 27 marzo prossimi si terrà a Singapore un meeting dell’Icann che sarà la prima occasione per testare sul campo i progetti della sua riorganizzazione. La posta in gioco è molto alta soprattutto nello scenario di una possibile cyberguerra. Il governo della rete è un elemento strategico nell’attuale scacchiere geopolitico e dimostra che la portata degli interessi e delle forze in gioco è tutto tranne che immateriale...