Oreste Pivetta, l’Unità 24/3/2014, 24 marzo 2014
LOMBARDIA, LA VELENOSA EREDITÀ DI FORMIGONI
“Per risvegliarci come nazione, dobbiamo vergognarci del nostro stato presente”. Belle parole di Giacomo Leopardi, ma sono solo un’esortazione e non riflettono il sentimento comune o, meglio, il sentimento delle maggioranze ispirato, e illuminato da alcuni leader dal profilo carismatico, come Roberto Formigoni sempre pronto ad annunciarsi “puro siccome un angelo”, non come la “pura” Violetta, ma alla maniera grottesca di una vecchia commedia all’italiana, quando gli attori vestivano giacche a quadri e si facevano di creme per nascondere le rughe.
Formigoni pare non percepire quanto gli è accaduto attorno e quanto sta ancora accadendo con le tangenti, la corruzione, l’inchiesta sulla sua creatura Infrastrutture Lombarde che monaccia l’Expo, eredità per l’alleato di sempre, il leghista presidente Roberto Maroni, inconsapevole come il predecessore, in balia della maggioranza che fu dell’ex governatore, incapace di un segnale di discontinuità (vedi la conferma dell’arrestato Rognoni in testa a Infrastrutture Lombarde). Formigoni non si vergogna, ostenta sorrisi, nel modo abituale, nella rigidità anatomica del gaio timoniere appena uscito dalla sala comando del Titanic.
L’OLIGARCHIA AL PIRELLONE
Formigoni è ovviamente innocente. Per quanto ci riguarda e per quanto riguarda i tribunali non ha rubato, non si è lasciato corrompere per godersi vacanze al mare e appartamenti in città, non è mai stato fotografato sulla tolda di uno yacht in prestito, non si è dato da fare per favorire gli amici come Daccò (condannato in appello a nove anni per associazione a delinquere e bancarotta) o i compagni di preghiera (come Antonio Simone), non ha contrattato tangenti, non si è accaparrato i voti della ’ndrangheta (anche questo è capitato ai suoi più vicini in giunta) anche se si è concesso un aiutino con una lista di firme fasulle, non ha mai assoldato la Minetti, che naturalmente neppure conosceva, ma è colpevole del tonfo politico della sua creatura, la Regione Lombardia governata nel corso di un ventennio, con il sistema di un oligarca di provincia, non senza complicità anche là dove avrebbe dovuto incontrare la più ferrea opposizione, costruendo nell’opacità delle alleanze e con il pretesto della fede comune una rete di esecutori e di esattori voraci. Ma, da eterno presidente, non si è accorto di nulla. Gli è capitato lo stesso amaro destino di Scajola: una casa vista Colosseo pagata a sua insaputa. “Una grande bufala” ha sentenziato, schiaffeggiando i giornali che avevano dedicato i loro titoli alla notizia che “i vertici della Regione sapevano”: “Questo non corrisponde per nulla alla verità dei fatti... Tutti pensano ai vertici politici e in particolare a un solo nome, guarda caso sempre quello, ovviamente il mio... La verità è un’altra: i presunti vertici che, secondo le carte della Procura, non potevano non sapere, sono solo dei semplici dipendenti di un ufficio regionale, l’Avvocatura...”. Semplice insomma per il perseguitato numero uno della Regione Lombardia salvare la faccia e la fedina penale. Ma è evidente che il caso politico non si spegne, anche se si capisce che Formigoni non è l’unico politicamente responsabile: nel giro omertoso dei benefit si sono ritrovati in molti, ad ampio raggio.
Mettiamo in fila arresti, denunce, indagini nel corso degli anni ad oggi, da Nicoli Cristiani a Zambetti, da Davide Boni a Massimo Buscemi, in una sommario di ipotesi di reato che va dal peculato alla truffa, dalla corruzione al traffico illecito di rifiuti, aggiungiamo l’abbuffata dei rimborsi, l’attualissima rissa sui vitalizi generosamente benedetti dalla precedente amministrazione (centocinquanta milioni di euro, più di quattro volte i contribuiti versati, la somma dei vitalizi corrisposti rivalutati al 17 febbraio secondo i dati dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale: i vitalizi degli ex consiglieri costano alle tasche dei lombardi sette milioni e mezzo di euro all’anno), le riforme mancate e quelle attuate (la sanità per foraggiare i privati, come raccontarono le indagini sul Maugeri e sul San Raffaele).
UN BILANCIO DISASTROSO
Il quadro sotto gli occhi nostri e di Formigoni è disastroso: vi si rappresenta un mostro che mangia soldi ai cittadini e li regala agli amici, abnorme per la dimensione, inconcludente, inefficiente, miracolosamente esentato da qualsiasi forma di spending review, piegato agli interessi di una rete imprenditoriale e lobbistica, tra Comunione e liberazione e Compagnia delle opere e altri sodali che traevano vantaggi e ripagavano della vicinanza col “Celeste”.
Formigoni ha consegnato alla storia locale e nazionale e all’erede designato la nuova versione di tangentopoli in chiave regionale e una fotografia dell’istituzione a tinte opache e forse cupe. Dirà Formigoni che non è colpa sua. Daccò un giorno spiegò: “Sapevo come risolvere i problemi, sapevo come funzionavano gli ingranaggi in Regione”. “Risolveva problemi – confidò un suo portaborse – su rimborsi e finanziamenti per enti che facevano fatica a ottenerli. Attività basata, più che su competenze specifiche, su relazioni personali che Daccò aveva in Regione”. Relazioni personali che non vantiamo noi comuni mortali. Ingranaggi che devono essere oliati e oliare costa. Ma i benefici possono essere consistenti, come confermarono, ad esempio, gli stessi amministratori della fondazione Maugeri, che in un decennio pare abbia incassato 200 milioni di euro di rimborsi regionali. Formigoni sarà stato tenuto all’oscuro di tutto, Daccò sarà stato solo un vecchio amico e compagno di merende, ma chi può credere ancora nella Regione che fu di Formigoni e chi potrà credere nella Regione che è oggi di Maroni, successore leghista.