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 2014  marzo 24 Lunedì calendario

SANZIONI ALLA RUSSIA, DA SNAM A INDESIT QUALE SARÀ IL PREZZO PER L’ITALIA SPA


Il 2014 doveva essere l’anno del “corridoio verde” delle dogane: stava per giungere in porto una trattativa diplomatica che ha coinvolto in Italia tre ministeri (Economia, Sviluppo, Lavoro) e altrettanti in Russia, «per rendere più semplice il passaggio delle merci in dogana, da sempre un grosso problema nell’interscambio con Mosca », spiega Alessandra Di Salvo, partner di Sts Deloitte, lo studio tributario e societario del gruppo. “Corridoi” analoghi esistono fra Europa e Usa, per l’Europa al suo interno non ce n’è bisogno perché c’è il mercato comune. Ma con la Russia non ci era mai riuscito nessuno. Visto che l’Unione europea non ha trovato l’unanimità necessaria, l’Italia è andata avanti da sola. «Le autorità doganali dei due Paesi hanno firmato il 26 novembre 2013 un protocollo bilaterale che doveva diventare operativo nel corso di quest’anno», aggiunge Anna Volkova, moscovita di nascita, commercialista nello stesso studio Deloitte di Roma. «Si stava approntando il sistema di prevenzione delle frodi e degli illeciti doganali con un efficace scambio di informazioni e l’utilizzo di moderni sistemi di analisi dei rischi, un modello destinato a diventare una best practice a livello europeo ».
Tutto questo in considerazione del ruolo speciale che ha l’Italia per la Russia e viceversa: l’export dal nostro Paese ha raggiunto nel 2013 i 14,6 miliardi, con un’impennata di più del 10%, e la Russia è diventata il nostro quinto partner. Le esportazioni russe, gas ma non solo, hanno raggiunto i 39,3 miliardi piazzando l’Italia al quarto posto fra i clienti di Mosca. Ma ora le trattative sul “corridoio verde” sono congelate. Tutto il lavoro preparatorio svolto rischia di saltare per i venti di guerra commerciale che spirano sempre più forti. Il G-8 di giugno è saltato, l’incontro Russia-Ue di Sochi del 3 maggio pure, l’adesione all’Ocse è sospesa. E le sanzioni imposte dall’America e ribadite dal Consiglio europeo sono sempre meno simboliche e più sostanziali perché cominciano ad aggredire i capitali russi in occidente. Venerdì scorso Visa e Mastercard hanno interrotto senza preavviso in America i servizi di pagamento ai clienti che avevano aperto le carte presso banche russe, a partire da Rossia e dalla sua consociata Sobinbank. Anche la Smp, controllata dai fratelli Arkadi e Boris Rotenberg, i cui nomi sono stati aggiunti venerdì alla lista delle sanzioni, ha annunciato che i prelievi dei suoi clienti con carte Visa e Mastercard sono bloccati.
Di fronte a quest’offensiva, i russi si stanno in tutta fretta chiudendo in casa. Il Financial Timesparla di «un grande flusso in rientro verso Mosca veicolato attraverso le filiazioni londinesi di banche di stato come Sberbank e Vtb e attraverso i colossi energetici multinazionali come Lukoil». E la Federal Reserve di New York, che vigila su Wall Street, ha comunicato la settimana scorsa di aver registrato una caduta di 105 miliardi di dollari negli investimenti in titoli di stato americani da parte di istituzioni che fanno capo alla Russia.
La maggior parte degli operatori internazionali ormai si comporta come se le sanzioni economiche vere e proprie fossero già in opera. «I nostri acquirenti russi non vengono neanche a ritirare le collezioni estive già pronte, perché hanno paura che gli si blocchino i pagamenti e perfino di non poter rientrare a casa se succede qualcosa sui visti», avverte Sauro Degli Esposti, che con i suoi vestiti di moda fatti a Carpi copre il 30% del fatturato in Russia. Maggior tranquillità per il momento ostenta Marco Milani, ammini-stratore delegato della Indesit, che in Russia è leader di mercato, realizza un quarto dei suoi 2,7 miliardi di vendite e ha due stabilimenti a Lipetzk, 400 chilometri a sud di Mosca: «Operiamo in Russia da oltre vent’anni e abbiamo gestito situazioni di ogni tipo. E’ un Paese straordinario con potenzialità ancora enormi. Abbiamo fiducia che questa crisi possa essere ricomposta senza ulteriori traumi».
Ma i problemi non vengono solo dalle sanzioni, perché anche se queste si fermeranno alle misure contro gli individui accentuate la settimana scorsa, ci sarà da fronteggiare una serie di guai a catena. «Le incertezze sui cambi sono quelle che ci preoccupano di più», dice Riccardo Monti, presidente dell’Ice. «L’ennesima rivalutazione dell’euro penalizzerà inevitabilmente i nostri beni di consumo in vendita a Mosca, dagli alimentari alla moda. Ma anche le forniture business to business come i macchinari industriali strumentali, regolate con contratti hedging che prevedono una serie di tutele dal rischio di cambio, se questo rischio diventa abnorme potranno essere compromesse». Le più tipiche conseguenze indirette riguardano però il settore “principe”, l’energia. Lo stesso Paolo Scaroni giovedì scorso ha ammesso in commissione attività produttive alla Camera che il gasdotto Southstream, per la cui costruzione oltretutto la Saipem ha appena firmato un contratto da 2 miliardi, è tornato a rischio: «Non so se si realizzerà », ha scandito. «La crisi ucraina potrebbe mettere in discussione 2 tra l’altro le autorizzazioni Ue necessarie per portare avanti il progetto». Più tranquillo l’ad dell’Eni si è detto sulle forniture di gas, scese quest’anno sotto il 30% del fabbisogno nazionale. Senonché la crisi coglie i due Paesi proprio nel mezzo di una complessa rinegoziazione dei contratti take-or-paycon Gazprom. Il nodo è il ribasso dei prezzi che l’Eni conta di ottenere entro il 2016, basato sul crollo dei valori spot, cioè quelli sul mercato libero, dovuto a sua volta al calo della domanda e all’effetto dello shale gas americano. Una trattativa delicata che di certo era meglio condurre in condizioni più rilassate. Anche perché gli interessi Eni in Russia non finiscono qui: mantiene una presenza sul territorio attraverso la joint-venture con Rosneft (da cui compra anche petrolio) per l’esplorazione congiunta di promettenti risorse energetiche nel Mar Nero e nel Mare di Barents, e per sua fortuna aveva appena ceduto per 2,9 miliardi di dollari il 60% della Arctic Russia a Yamal Development, una società paritetica tra la GazpromNeft e la Novatek di Gennady Timchenko, sesto uomo più ricco di Mosca, inserito nelle sanzioni di giovedì scorso: le azioni Novatek hanno perso nella sola giornata di venerdì l’11% in Borsa.
L’Italia comunque ha tutto da perdere, come del resto la comunità internazionale, dall’indebolimento complessivo sia della Russia che dell’Ucraina. «E’ stato assolutamente opportuno aver offerto a Kiev almeno i prodromi dell’ingresso nell’Europa, principio per cui loro hanno sacrificato la loro sovranità e affrontato un costo ingente di vite umane», commenta Giovanni Castellaneta, già ambasciatore a Washington e oggi presidente della Sace. «Il commissario Olli Rehn ha annunciato un piano di aiuti concreti insieme con l’Fmi. Stando alle dichiarazioni del ministro delle Finanze ad interim il Paese ha bisogno di aiuti per 35 miliardi di dollari nel solo biennio 2014-15, considerando che solo quest’anno deve restituire 19 miliardi di debito estero e che le sue riserve in valuta non arrivano a 14 miliardi». Come se non bastasse, il premier russo Dmitry Medvedev, ha minacciato intanto di alzare il prezzo del gas riservato all’Ucraina e poi di passare all’incasso di 11 miliardi di dollari in bollette non pagate.
In difficoltà non meno serie è la stessa Russia: il takeover della Crimea rischia di costarle un punto di Pil, calcola l’Fmi, fra stipendi e pensioni da riequilibrare, cambio grivnia-rublo da finanziare (è un po’ il rapporto lira-euro solo che qui tutto va fatto immediatamente e sulle spalle di un Paese solo), macchina pubblica da ristrutturare radicalmente. E per un Paese che già aveva nettamente ribassato le proprie previsioni di crescita per il 2014, dimezzandole dal 4 al 2%, in considerazione della troppo flebile ripresa europea e della lentezza della domanda interna, le premesse sono le meno fauste. «È da pazzi per l’occidente pensare di isolare la Russia», scrive l’EconoMonitor di Nouriel Roubini. Eppure il governo federale aveva avviato un programma di apertura ai capitali esteri in molti settori, dalla finanza all’energia, assicurando in contropartita maggiore efficienza, concorrenza e trasparenza. Ora tutto torna in discussione.