Pietrangelo Buttafuoco, Il Sole 24 Ore 23/3/2014, 23 marzo 2014
COMMISSARIATE LA SICILIA
Adesso basta. Qualcuno - Matteo Renzi? - dica basta, perché l’autonomia sarà cosa santa e giusta ovunque ma in Sicilia no, è un flagello e si trascina nel baratro l’Italia. Lì l’autonomia regionale, fonte di sprechi e burocrazia, è l’acqua che nutre l’arretratezza economica e sociale di un pezzo importante del Mediterraneo. Ed è la fogna in cui nuota la mafia.
Basta, dunque. È urgente, infatti, per come chiede da tempo Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, nominare un commissario dello Stato al posto del governo regionale di Rosario Crocetta; è fondamentale - per come reclama Antonello Montante, presidente di Confindustria in Sicilia - avere nell’Isola un Cottarelli che metta mano alla spesa e al bilancio: il default è in agguato ma, seguendo i passaggi di legittimità, è necessario abrogare lo Statuto speciale.
Basta, quindi. Lo Statuto sarà pur nella Costituzione, ma oggi, con la messa in discussione del capitolo V, questo privilegio, frutto dell’unica e vera trattativa Stato-Mafia, può essere tagliato con un colpo di penna. E un colpo di coraggio. Si lavora alla cancellazione del Senato e non si può estirpare dalla viva carne dell’Italia un obbrobrio come l’Autonomia regionale che serve solo ai parassiti che ne beneficiano?
Basta. Lo Statuto venne concesso dopo la stagione separatista, la cui punta armata non fu l’Ira, come in Irlanda, con arcangeli come Bobby Sands, ma l’Evis, l’Esercito volontario degli indipendentisti, fortemente inquinato dai mafiosi. Giusto quelli che avevano già collaudato la loro rapacità negli anni dell’Invasione anglo-americana vagheggiando con il boss Lucky Luciano la possibilità di offrirsi come «la 51ma stella degli Stati Uniti» e di fondare una nazione indipendente con il bandito Salvatore Giuliano - non un personaggio di fantasia, ma reale, pronto a proclamarsi luogotenente.
È un cammino torbido, quello dell’autonomia in Sicilia. Fu forse una chimera del riformismo, e persino suggestione rivoluzionaria, ma tanti autorevoli esponenti della sinistra, oggi, con la Fondazione Sturzo e il contributo di studiosi come Andrea Piraino e personalità quali Vito Riggio, presidente dell’Enac, già tra i protagonisti della stagione di rinnovamento della politica, hanno avviato un dibattito in direzione dello «smantellamento della regione». E ciò è reso ancor più utile della liquidazione dell’ente provincia, messa in atto da Rosario Crocetta, dove però, al netto dell’effetto propaganda, è rimasto il malinconico risultato di moltiplicare - tramite nomine fiduciarie, peraltro, e non elettive - il numero degli enti intermedi. Da 9 province, dunque, si è arrivati a 9 consorzi più tre città metropolitane. E siccome la legge prevede che per istituire un nuovo consorzio sia sufficiente raggiungere 180 mila abitanti su più Comuni confinanti, si calcola che i consorzi possano arrivare a essere più di 20.
È la fogna del potere, la Sicilia. In nessun posto come a Palermo il numero dei dipendenti pubblici lievita. A ogni legislatura corrisponde un’infornata di clienti. L’autonomia, in Sicilia, a eccezione dell’ufficio del commissario dello Stato (il cui potere è limitato alla verifica delle leggi regionali con la legittimità costituzionale) non ha strumenti di controllo. Carmelo Aronica, commissario dello Stato, ha bocciato 33 articoli su 50 dell’ultima finanziaria firmata da Crocetta, ma è una notizia che non ha turbato il già disastrato status quo di un mostro burocratico-politico in cui gli enti smangiasoldi, in liquidazione da più di trent’anni, sono la testimonianza di una catastrofe socio-economica. Catastrofe che diventa pittoresca con l’Ente minerario, che ebbe velleità di contrastare l’Eni; con l’Espi, l’ente di promozione industriale, sorto per fare concorrenza all’Iri; e infine con l’Irfis, banca regionale proiettata nell’empireo della finanza per dare filo da torcere a Mediobanca. Senza dimenticare le varie monadi clientelari, la più famosa delle quali è quella dell’elargizione stagionale ai forestali - gestiti dalla Regione. Ma ancor peggio, e ancor più fruttuosa sul piano clientelare, è la giostra della "formazione": un marchingegno attraverso il quale alcuni disoccupati trasformati in docenti "formano professionalmente" altri disoccupati destinati a diventare a propria volta "docenti" di nuovi disoccupati nel frattempo sopraggiunti, tutti foraggiati con i fondi racimolati nel mare delle sovvenzioni. E dei paradossi. È la prima industria di Sicilia, questa della formazione, la notizia in palla è quella della richiesta di arresto di Francantonio Genovese, esponente del Pd, renziano di lusso. E siccome l’assurdo vuole il suo nonsenso, l’assessore regionale incaricato, giusto per gradire, è una studentessa fuori corso. È una delle "madamine di governo" di cui si circonda Crocetta, digiune di politica e di amministrazioni ma efficaci, come nel caso di Lucia Borsellino, assessore alla Sanità, usata a far da scudo in virtù del nome a operazioni di manovalanza politica come per la clinica privata Humatas a cui fu dedicata una delibera siglata nottetempo, nella piena estate, delibera di ampliamento di posti letto poi revocata solo grazie alla rivelazione della stampa.
È anche il posto, la Sicilia, dove secondo l’Istat si leggono meno libri, ma questo è solo un dettaglio, anzi, un lapsus. Rivelatore. L’autonomia consente di amministrare uno dei patrimoni culturali più sontuosi e importanti al mondo ma la Sicilia, che potrebbe campare solo di turismo e cultura, resta il luogo della desolazione, con i suoi musei sempre deserti e i siti archeologici dove bisogna aver cura di non recarsi nei giorni festivi per non trovare chiuso. Certo, questo mio è un appello - a Renzi? - e come tale è esagerato, ma ogni esagerazione è sempre troppo poco per descrivere fedelmente lo stato di abbandono in cui versa una terra meravigliosa abitata letteralmente da fantasmi, con le città sempre più abbandonate, deserte. E su questo tema, sulla fuga dalla Sicilia, fa testo il reportage mandato in onda a Piazzapulita lunedì scorso.
Basta. Sono così tanti i guai, in Sicilia, che il guaio della mafia, persino quello, viene dopo. C’è anche l’impostura di una rivoluzione tanto attesa, quella di Crocetta, ma sempre affidata alla Procura. Tipico comiziante, l’attuale governatore, eletto grazie a un giochetto elettorale di Gianfranco Micciché (ebbene sì, sono cose di Sicilia), criminalizza i tanti problemi che non sa risolvere. Invece di governare, declama. E l’acqua gli va sempre al mulino con tutti i mafiosi che, intelligentissimi, nei suo momenti di difficoltà (quando gli viene meno la maggioranza, quando il capo dello Stato lo smentisce con un comunicato) vanno a recapitargli bossoli e proiettili per rafforzarlo come un Pokemon invincibile. Eroe dell’antimafia, Crocetta fa dell’antimafia un automatismo. Eroe, appunto, condivide però lo stratega della continuità di governo - cioè Beppe Lumia, Pd, il più professionista dei professionisti dell’antimafia - con il suo predecessore, Raffaele Lombardo, già condannato in primo grado in concorso esterno per mafia (ebbene sì, sono cose di Sicilia ) ma l’automatismo è più di un riflesso condizionato per cui chiunque sollevi una critica si ritrova bollato come "mafioso" o "omofobo", avendo egli fatto un jolly del proprio orientamento sessuale. E se per caso caccia Franco Battiato dalla giunta di Governo per sostituirlo con la propria segreteria (una cosa che neanche Gaspare Pisciotta avrebbe potuto immaginare), ebbene, l’impostura è così forte da non potere più dire basta. Non basta più.