Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 23/3/2014, 23 marzo 2014
«PRONTI SUI DEBITI PA, POI IL FONDO MINIBOND»
La Cassa depositi e prestiti è pronta per l’offensiva anti-crisi del 2014: «Il pagamento dei debiti con le imprese - dice l’ad Giovanni Gorno Tempini - è solo il primo passo: Cdp entrerà nel mercato dei minibond con un nuovo fondo ben dotato di risorse. Vogliamo dare più liquidità alle imprese e al mercato dei capitali. E malgrado gli impegni e i progetti di investimento, non temiamo impatti sul rating: Fitch è male informata». Gorno chiude invece la porta all’ipotesi di un salvataggio di Mps, rivelando che la Banca d’Italia ha vietato alla Cassa investimenti in banche e assicurazioni. Resta l’interesse sulla rete Telecom, ma non sulla compagnia.
«Siamo pronti a fare la nostra parte sul pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione: è un’operazione importante per la sua valenza "etica" ma soprattutto per i benefici di sistema che è in grado di generare. Ed è importante ribadire un concetto: con il piano che è stato messo a punto, la Cassa Depositi e Prestiti non diventerà la "bad bank" dei debiti degli enti e delle amministrazioni locali. Sarà un’operazione di mercato innovativa, positiva per le banche e soprattutto per le imprese in crisi di liquidità. Ma soprattutto, non è l’unica iniziativa "straordinaria" che ci vedrà impegnati per il rilancio delle imprese: la Cdp entrerà presto sul mercato dei minibond con un fondo dedicato».
Dopo quattro anni a Roma alla guida della Cdp, a Giovanni Gorno Tempini resta ben poco dell’outsider milanese prestato ai palazzi della politica: 52 anni, ex ufficiale dei Carabinieri prima di trasferirsi a Londra, Gorno è stato nominato nel 2010 amministratore delegato della Cassa dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, poi riconfermato con il presidente Franco Bassanini (espressione delle Fondazioni azioniste) dai governi Monti e Letta. Accolto inizialmente con qualche scetticismo dalla nomenklatura di Palazzo, l’ex banchiere di Jp Morgan e di IntesaSanpaolo ha messo invece a frutto l’esperienza e le relazioni internazionali acquisite sui mercati finanziari per trasformare un gigante addormentato in una sorta di "bazooka" anti-crisi, il cui raggio d’azione varia a seconda delle opportunità e delle necessità del Paese. E così come la Cassa si è trasformata nella nuova holding della ripresa nella più turbolente fase politica italiana, l’outsider venuto dal Nord si è trasformato in un "civil servant" di lungo corso, ben saldo alla guida della più importante società a capitale pubblico.
«La crisi - spiega Gorno - ha accelerato la trasformazione della Cdp da agenzia semi-pubblica custode del risparmio postale ed erogatrice dei mutui per gli enti locali, a vero e proprio strumento di politica industriale. Grazie alla fiducia dei nostri azionisti, Stato e Fondazioni, e alla complementarietà dei ruoli con il presidente Bassanini, il Governo dispone oggi di una "government-sponsored agency" di calibro internazionale, posta a capo di un gruppo integrato in grado di svolgere un ampio ventaglio di missioni a sostegno dell’interesse pubblico, delle imprese e della società civile. Esattamente come fa Kfw in Germania e Caisse des depots in Francia».
Quattro anni al vertice della Cassa con 4 governi diversi a fare da azionista: per un manager senza esperienza nel settore pubblico, cresciuto professionalmente tra Londra e Milano, è già un risultato sorprendente...
La Cdp ha una sua coerenza gestionale: il capitale è a maggioranza pubblico, ma la nostra governance è ispirata alla best practice del settore privato. Competenza, trasparenza e merito sono i tre pilastri su cui si fonda il modello organizzativo e operativo della nuova Cdp.
I vostri critici temono che l’allargamento del perimetro operativo agli investimenti diretti nel settore industriale e a quello finanziario metta a rischio la sicurezza dei 250 miliardi di euro di risparmio postale degli italiani da cui la Cassa attinge gran parte delle sue risorse.
È falso. Ogni nostra iniziativa, dalle operazioni industriali sulle medie e grandi aziende del Fondo strategico a quelle sulle pmi del Fondo Italiano di investimento, ha sempre rispettato le regole del mercato senza mai mettere a rischio la sicurezza del risparmio postale e anzi con risultati soddisfacenti. E non dimentichiamo che la Cdp raccoglie le sue risorse anche con linee di credito ed emissioni obbligazionarie non garantite dallo Stato. Non usiamo un solo euro di denaro pubblico.
Ma siete pur sempre una società a capitale pubblico. Come risponde a chi vi accusa di distorcere le regole del mercato comprando aziende e investendo in Borsa?
Certo, è legittimo chiedersi se sia giusto che lo Stato intervenga direttamente sul mercato, aiutando l’accesso al credito e al capitale di rischio: ma la risposta, e lo dico anche da ex banchiere di investimento, è che se non ci fosse stato un intervento pubblico a sostegno dell’economia - sostegno che è stato dato in tutti i Paesi del mondo - dopo la crisi del 2011, la situazione economica, sociale e industriale italiana sarebbe oggi certamente peggiore.
Il Paese è a corto di risorse, ma a voi finora non sono mancate. Come le avete usate?
Negli ultimi tre anni abbiamo erogato finanziamenti a 83mila piccole e medie aziende e finanziato 6 miliardi di capitale per le società a sostegno delle esportazioni e dell’espansione internazionale. E con l’acquisto di Sace e Simest, abbiamo messo a disposizione delle imprese un sistema-Cassa in grado di fornire finanziamenti, capitali di rischio, supporto all’internazionalizzazione e assicurazione del credito. Non solo. Malgrado il forte aumento degli impegni e il fabbisogno di risorse dello Stato, la Cdp ha chiuso il 2012 con un ampio utile, così come nel 2011 e ci si aspetta nel 2013, distribuendone agli azionisti una quota prudente (1 miliardo di dividendo su 2,8 di profitti), consentendo il rafforzamento patrimoniale di Cassa per far fronte ai nuovi obiettivi. Il piano strategico 2013-15 prevede ora un impegno fino a 87 miliardi di euro, pari circa il 6% del Pil.
E siete stati anche chiamati a concorrere al pagamento dei 68 miliardi di debiti della Pa con i suoi fornitori. Le banche compreranno i crediti, ma il ruolo di garante finale spetta a voi: l’agenzia di rating Fitch ha già preannunciato la possibilità di un declassamento della Cdp.
Rispetto le agenzie di rating, ma in questo caso Fitch ha espresso commenti senza elementi informativi adeguati. Il ruolo che siamo chiamati a svolgere nell’operazione debiti Pa non compromette nè la liquidità nè la solidità patrimoniale della Cassa. Detto questo, è chiaro che più la Cassa viene dotata di risorse meglio può intervenire a sostegno dell’economia e della ripresa.
Qual è oggi lo stato di salute delle vostre finanze?
Già nel 2013 l’assorbimento di capitale sul rischio di credito è salito di oltre 800 milioni e gli impegni previsti dal piano strategico per il 2014 fanno ipotizzare una cifra analoga. Nell’arco dei prossimi tre anni, prevediamo un assorbimento patrimoniale di 4,5 miliardi di euro, che contiamo in buona parte di compensare con le riserve disponibili di utile non distribuito e con le operazioni straordinarie: la cessione di quote nella Cdp Reti dovrebbe generare dai 3 ai 3,5 miliardi, a cui si aggiungono i proventi della privatizzazione della Sace, di cui resteremo comunque azionisti, e di Fincantieri. E poi c’è Ansaldo Energia, player di calibro mondiale nel settore delle turbine a gas: la missione che l’amministratore delegato del Fondo Strategico Maurizio Tamagnini ha dato al management Ansaldo è preparare l’azienda a un allargamento del capitale ai privati, anche attraverso una quotazione.
Tra le missioni assegnate alla Cdp per ridurre il debito nazionale c’è anche l’acquisto degli immobili pubblici ed eventualmente delle utilities locali. Viste le esperienze del passato, sono in molti a temere che la Cassa possa essere costretta a comprare, magari dagli enti locali, asset e immobili invendibili sul mercato.
Come ho già detto, le nostre decisioni di investimento non metteranno mai a rischio la sicurezza del risparmio postale: ogni operazione è valutata caso per caso in un’ottica prudenziale e sempre con l’obiettivo finale di rivendere sul mercato gli asset acquistati. È la regola non solo in Cdp, ma anche nelle sue società controllate o partecipate: parlo non solo di Fintecna, a cui fa capo Fincantieri, della Sace e della Simest, ma anche dei fondi di private equity di cui la Cassa è azionista, Fondo strategico, Fondo italiano di investimento e Fondo Italiano per le infrastrutture, noto anche come F2i. Questa filosofia è anche alla base della fiducia che ci è stata accordata dai grandi fondi sovrani arabi, Qatar e Kuwait, e dal Russian Direct Investment Fund: oggi sono nostri partner di investimento nel Fondo Strategico, che ha portato in Italia capitali esteri per 2 miliardi. È fiducia nei nostri confronti, ma è soprattutto fiducia sulla ripresa del Paese.
Della crisi del Monte dei Paschi di Siena cosa dice? È pensabile un vostro intervento nel capitale della banca?
Un dossier Mps non è mai esistito, come non è mai esistita l’ipotesi di entrare in Telecom Italia: pura fantasia. Per quanto attiene Mps, c’è un dettaglio che pochi sanno: con il conferimento della quota in Generali, la Banca d’Italia ha posto come condizione non solo la vendita delle azioni entro il 2015, ma anche il non coinvolgimento della Cassa in soggetti vigilati da Bankitalia stessa, banche e assicurazioni. Il motivo è chiaro: evitare il rischio di un conflitto di interessi in ambito pubblico.
Con le banche avete però un rapporto molto stretto, senza contare che sono proprio le Fondazioni bancarie il socio dello Stato in Cdp e nei suoi fondi di investimento...
Vero, ma il nostro ruolo è quello di supporto al sistema bancario, non di esserne azionisti. La Cassa fornisce liquidità alle banche per il plafond Pmi: 13,2 miliardi già erogati e contrattualizzati. Nel 2013 abbiamo erogato 3,8 miliardi e 500 milioni già in questi primi mesi del 2014. E con gli acquisti di cartolarizzazioni, Cdp fornisce alle banche liquidità e capitali patrimonialmente importanti.
Anche le imprese hanno però bisogno di risorse, vista anche l’assenza di un vero mercato dei capitali. I vostri fondi hanno operato molto sul fronte dell’equity, ma sul lato del debito è stato fatto ben poco. Che cosa avete in programma?
Il debito è la nostra prossima sfida. E l’esperienza sul mercato dei capitali del Fondo italiano di investimento sarà preziosa per sviluppare nuovi strumenti di intervento. Penso al venture capital e soprattutto a un fondo dei fondi dedicato interamente al sostegno del mercato dei minibond, le nuove obbligazioni per il finanziamento a basso costo delle piccole e medie imprese. Potremmo creare una divisione specializzata in seno al Fondo italiano dotata di risorse sufficienti - penso a diverse centinaia di milioni - per sottoscrivere collocamenti e dare un forte impulso al mercato dei minibond.
Per quasi due anni avete cercato invano un accordo con Telecom Italia per rilevare la rete e garantire così gli investimenti su un asset che lei stesso ha definito «strategico per il Paese». Il piano prevedeva di unire la rete di Telecom con quella in fibra di Metroweb, società che fa capo a F2i, creando un nuovo grande operatore nazionale indipendente. Non solo il piano è fallito, ma l’ad di F2i Vito Gamberale ha aperto un proprio negoziato con Telecom Italia su Metroweb, ed è addirittura candidato alla presidenza dell’ex monopolista nella lista della famiglia Fossati. Situazione fuori controllo?
Su Gamberale preferisco non rispondere. Ma riconfermo che per Cdp le reti di telecomunicazioni di nuova generazione hanno un valore strategico: investirci è fondamentale per la competitività del sistema economico. In questi 4 anni, la squadra che governa la Cassa ha conseguito molti risultati: oggi il mio più grande rammarico è quello di non essere riuscito a investire di più su un grande progetto nazionale per le telecomunicazioni. Vedremo come finirà, ma una cosa è certa: in Telecom Italia non vogliamo entrare.
Un’ultima questione: il nodo-retribuzioni. Lei è entrato in Cdp con uno stipendio elevato che le è poi stato ridotto. Ora il suo stipendo è il tetto non superabile delle retribuzioni di tutti i manager del sistema-Cdp...
Nel 2013 ho denunciato emolumenti relativi al 2012 per 1,035 milioni di euro: era lo stipendio antecedente al Dl 69 del giugno 2013, che ha modificato la disciplina in materia di compensi di presidente e amministratore delegato di società a controllo pubblico. In conseguenza, a ottobre 2013, il Comitato compensi della Cdp ha deliberato il mio nuovo compenso con efficacia retroattiva ad aprile 2013, data del rinnovo. Adesso, dunque, il mio stipendio è di 607mila euro come quota fissa, cui si aggiungono 190.675 euro come quota variabile e 25.425 euro di incentivo a lungo termine per un totale massimo, essendo le parti variabili appunto variabili, di 823.100 euro. E questo ora è il tetto massimo per i top manager del gruppo.