Leonardo Jattarelli, Il Messaggero 23/3/2014, 23 marzo 2014
OK. «IN ITALIA ARRIVA NEGLI ANNI ’30 E SULLE RIVISTE È SUBITO BOOM»
La forma abbreviata di linguaggio più diffusa nel mondo e probabilmente anche la più “trasversale”. L’Ok del quale ancora si dibatte sull’origine, se la deve vedere però con il nostro Ciao. «Io direi che Ciao gli tiene dietro a stretta misura» ci spiega il nostro più insigne linguista, il professore Tullio De Mauro, il quale mentre gli parliamo dà il via ad una breve quanto scrupolosa ricerca sull’uso in Italia dell’Ok. Pensavamo che l’arrivo nel nostro Paese di questo ormai universale “Tutto bene” accompagnato dal gesto del pollice o da pollice e indice uniti a formare una sorta di “O” datasse 1943, anno in cui le truppe americane sbarcarono in Sicilia dando il via alla campagna militare del secondo conflitto mondiale.
Quando appare l’Ok in Italia?
«I primi articoli con l’ok risalgono addirittura agli anni ’20 e ’30 quando si registra un vero e proprio picco dell’uso di questo acronimo, ovviamente arrivato da oltreoceano. Una fonte cita esattamente il 1931».
E probabilmente le riviste dell’epoca come il Marc’Aurelio, Il Bertoldo e Il Travaso ne facilitarono l’uso...
«Aiutarono ad allargare la platea dei lettori che venne a conoscenza dell’ok così come di tanti scritti soprattutto umoristici importati dall’estero».
Ma si potrebbe dire allora che l’ok come il Ciao possono considerarsi i primi vagiti linguistici di una globalizzazione antelitteram?
«Le forme di saluto hanno sempre navigato facilmente da un luogo all’altro e da un continente all’altro, pensiamo soltanto all’Auf wiedersehen tedesco a all’Hasta la vista spagnolo e anche a quel Sayonara la cui diffusione non è certo direttamente proporzionale all’influenza della lingua giapponese nel mondo. Ecco, le forme di saluto erano molto “commercializzate” linguisticamente anche nel mondo antico».
Dunque la globalizzazione c’entra poco?
«Le lingue sono sempre relativamente globalizzate, ma di vera globalizzazione si può iniziare a parlare soltanto in tempi recenti, concetto legato soprattutto allo sviluppo economico produttivo della seconda metà del Novecento». I veicoli più veloci che hanno trasportato l’ok da Occidente ad Oriente, dall’America all’Asia all’Africa sono stati certamente il cinema, la stampa, la radio e la tv. La lista degli okay cinematografici sarebbe sterminata; basterebbe ricordare l’Americano a Roma di Sordi o il plateale titolo del film di John Sturges Sfida all’Ok Corral. A Roma esiste anche una antica tradizione, quella del tuffo nel Tevere da Ponte Cavour del celebre “Mister Ok” il cui soprannome nacque proprio quando il primo temerario, Rick De Sonay, nel ’46, diede il via al “volo di Capodanno” nella Capitale.
Oggi con il web l’ok avrebbe viaggiato a velocità supersonica?
«Certamente, anche se la tradizione orale ha un peso ancora maggiore. I miei nipoti che oggi hanno quattro anni, da quando ne avevano due dicono okay. E certamente non navigano in Rete».