Marco Ventura, Il Messaggero 23/3/2014, 23 marzo 2014
E DALLA SCOZIA ALLA CATALOGNA CRESCE LA FEBBRE DELLA SECESSIONE
IL FENOMENO
ROMA Implosione, separazione, frattura, secessione, indipendenza. I vocaboli della nuova geopolitica, di come va l’Europa e come va il mondo, sono suggestioni di disgregazione, collasso e ricomposizione. Gli ingredienti della volontà di autogovernarsi sono l’economia, la politica, la storia, la lingua, la religione. Il nazionalismo spesso è solo un ombrello culturale ad aspirazioni e frustrazioni di carattere politico-economico. Come nel caso delle ricche Fiandre in Belgio, della Groenlandia degli Inuit che vogliono emanciparsi dalla Danimarca per sfruttare liberamente le proprie immense risorse naturali, o del visionario e straricco “don Chisciotte” della Silicon Valley, Tim Draper, che propone una California divisa in sei reami. Si va, nell’aspirazione all’indipendenza, da tentativi seri e in vista di possibili traguardi come in Scozia e Catalogna alla vigilia di referendum nel 2014 capaci di rivitalizzare la lotta separatista pure di corsi, irlandesi e baschi, fino al velleitario libero Stato sorbo-lusaziano in Sassonia-Brandeburgo o al folclore nostrano dei progetti di principato a Filettino nel Frusinate e a Seborga in quel d’Imperia, o alla Repubblica indipendente di Malu Entu in Sardegna. La febbre della secessione non ha confini, è globale: dall’Isola di Pasqua che rivendica d’esser polinesiana e non cilena, al Tibet con la sua resistenza alla Cina, dall’Eritrea alle Filippine e al Kashmir indiano a maggioranza musulmana. La Crimea che divorzia da Kiev per unirsi alla Madre Russia è solo l’ultimo esempio di una tendenza disgregatrice che attraversa l’Europa. In Italia, rientra nel movimento tellurico il secessionismo non solo veneto. Ma vediamo i crateri più attivi del vulcano secessionista.
REGNO UNITO
Scozia. L’appuntamento col referendum promosso dal primo ministro di Edimburgo, Alex Salmond, è per il 18 settembre. Tony Blair aveva già concesso alla Scozia una devoluzione che ne aveva ampliato l’autonomia. Il premier David Cameron ha concordato con Salmond il referendum col quale sarà chiesto agli scozzesi, dritto per dritto, se vogliono che la Scozia diventi “paese indipendente”. Nei sondaggi, il sì è quotato il 40 per cento. Si porrebbero problemi non indifferenti nell’eventualità di un distacco da Londra. Il primo è economico-monetario, perché l’uscita dalla Sterlina, se anche vi fosse, non comporterebbe l’ingresso automatico nell’Euro. E la creazione di una moneta scozzese non sarebbe così facile. Inoltre, se da un lato la Scozia è ricca di petrolio, gas e whisky, e il reddito pro capite è più alto di quello italiano, è pur vero che la rottura del cordone ombelicale con Londra potrebbe essere controproducente, come sostengono gli unionisti di Alastair Darling. Non è detto che la bandiera di Sant’Andrea prevalga sulla Union Jack.
SPAGNA
Catalogna. La data importante è il 9 novembre. Ma il referendum stavolta è auto-indetto dai catalani senza accordo con Madrid. Barcellona è il cuore e motore dell’economia spagnola e è la capitale della Catalogna. Madrid però non ha alcuna intenzione di cedere al separatismo catalano, così come ha combattuto una guerra con quello basco dell’Eta che a sua volta rischia di essere risuscitato dalla risposta dei catalani a novembre. Il separatismo di Barcellona è trasversale, né di destra né di sinistra, ed è una posizione di rottura piena col governo centrale. A differenza di quello scozzese che è più di sinistra ma inquadrato in un dialogo con la Corona. In gennaio, la marcia silenziosa nel centro di Bilbao contro la politica di dispersione dei detenuti baschi dell’Eta si è trasformata in una marea umana e comunque nelle ultime elezioni i separatisti sono cresciuti. Per questo Mariano Rajoi, il premier, teme l’effetto domino che potrebbe scatenarsi dopo novembre.
BELGIO
Fiandre. Per le Fiandre, in Belgio, la data cruciale coincide non con un referendum ma con le elezioni del 25 maggio, contemporanee a quelle europee. Il grande favorito è il partito indipendentista N-VA (Nuova Alleanza Fiamminga), che già nell’ottobre 2012 aveva conquistato 20 distretti su 35 e in particolare Anversa. Il Belgio è da sempre in bilico, vicino alla dissoluzione. Fiamminghi e valloni parlano lingue diverse (neerlandese e francese), hanno economie diverse, culture diverse, e i fiamminghi si sentono stretti dall’unione belga. Significativo è che lo scontro avviene nel cuore dell’Europa che ospita le istituzioni della UE, che se nelle teorie del leghista professor Miglio avrebbero dovuto favorire la creazione di macro-regioni e la disgregazione degli Stati nazionali, oggi invece vi si oppongono perché l’Europa stessa non è una forte unione sovranazionale, ma un cartello di Stati nazionali.
Altri. A volo d’uccello si possono citare come ancora attivi il separatismo violento in Corsica, quello francofono nel Québec che ha avuto grandi risultati nelle ultime elezioni, e poi ancora i moravi della Repubblica Ceca, gli ungheresi della Transilvania, senza dimenticare i separatisti sardi che hanno rialzato la testa nelle ultime elezioni regionali attraverso una miriade di liste.