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 2014  marzo 23 Domenica calendario

RENZI: RIFORME CONTRO LA PALUDE


Non mi farò fermare dalla palude, lo dice molto chiaramente il presidente del Consiglio, rispondendo alle bordate che gli lanciano da giorni Camusso, da un lato, e Squinzi, dall’altro. Le riforme vanno avanti, avverte, perché solo se la politica avrà il coraggio di riformare sé stessa potrà poi avere la credibilità necessaria a riformare il resto del Paese. Matteo Renzi è reduce da una settimana impegnativa sul fronte europeo.
E la settimana che si apre domani lo vedrà al fianco di Obama, prima all’Aja poi a Roma. Poi vedrà a Londra Cameron, il 2 e 3 aprile a Bruxelles incontrerà i capi di Stato africani. Nel frattempo andrà in Calabria...
Settimane impegnative, presidente.
«Eppure sa cosa mi ha davvero colpito?», scherza il premier, «come nel primo mese romano della mia vita abbia piovuto tantissimo. Non me l’aspettavo Roma così piovosa».
Cominciamo dall’Europa: com’è che partendo per Bruxelles lei ha definito in Parlamento il limite del 3% tra deficit e pil anacronistico, e poi a conclusione del Consiglio Ue ha dichiarato che quello stesso 3% l’Italia lo rispetterà?
«Ho detto le stesse cose, sia in Parlamento che a Bruxelles. Quello del 3% è un vincolo basato sul Trattato di Maastricht e quindi risalente a molti anni fa, ma non ho mai detto che non lo rispetteremo. In aula e al Consiglio Ue ho tenuto la stessa identica posizione. Dopodiché, l’Europa deve decidere che vuol fare del proprio futuro. Se vuole impostarlo su una maggiore attenzione alla crescita e all’occupazione. O se si limita a uno sguardo burocratico, tecnocratico sulla realtà».
Mi pare implicita la sua preferenza.
«Questo è il punto centrale e politico. La nostra battaglia non è per ottenere una deroga al 3%. Noi rispettiamo tutti gli impegni, però diciamo anche: nel semestre italiano vogliamo discutere, approfondire, capire cosa possiamo modificare per far sì che le regole del gioco aiutino l’Europa a crescere. Altrimenti succederà ovunque come in Italia, dove la fiducia verso l’Ue è crollata dal 54 al 28% in cinque anni»
Con un rapporto debito-Pil che peraltro continua a salire...
«...e nonostante vi sia un avanzo primario. E sa perché? Per la crescita negativa ormai da anni. I governi Monti e Letta hanno adottato misure intelligenti per risanare i conti, ma se non cresce il Pil è tutto inutile e sfido che la gente non crede più nell’Europa. Quella che noi vogliamo è un’Europa che sia delle famiglie e non più solo dei tecnocrati».
Questa consapevolezza si sta facendo spazio anche tra quei Paesi nordeuropei per i quali invece il rigore è alla base dell’Unione?
«Questa riflessione io l’ho condivisa con François Hollande sabato a Parigi e con Angela Merkel lunedì a Berlino. Difficile non essere tutti d’accordo che la crescita sia il nodo centrale. Dopodiché, sa perché l’Italia ha un problema?».
Perché, presidente?
«Perché purtroppo nel corso degli anni ha sempre detto che avrebbe fatto riforme strutturali e invece non le ha mai fatte. Tant’è vero che ho trovato tutti i nostri partner europei davvero meravigliati del fatto che nei prossimi mesi, cioè prima del semestre Ue, stavolta possiamo sul serio fare la nuova legge elettorale, la legge sulle Province, la legge che supera il Senato, la legge che cambia il Titolo V della Costituzione, la legge che abolisce alcuni organismi diventati inutili come il Cnel e la riforma della Pubblica Amministrazione, del lavoro, della giustizia e del fisco. Qui si gioca la nostra credibilità. Sono interessati alle riforme, non alle virgole».
E perché questa volta l’Italia, che per sua stessa ammissione lo va promettendo da anni, stavolta agli occhi dell’Europa dovrebbe apparire credibile?
«Perché è l’ultima chance per gli italiani. E non la falliremo. Io non le faccio perché me le chiedono la Merkel o Barroso. Io le faccio perché girando tra i cittadini da sindaco..., dovrei dire da ex sindaco, mi sono reso conto che quello che pensa la gente è sempre la stessa cosa: se volete chiedere a noi dei sacrifici, cominciate a farli voi politici».
Lei dice che dello sguardo dell’Europa le importa poco. Ma immagino che quei risolini tra Barroso e Van Rompuy abbiamo dato fastidio pure a lei, come a tanti italiani. Un certo scetticismo evidentemente nei confronti dell’Italia è duro a morire, o no?
«Se Barroso e Van Rompuy son contenti e sorridono mi fa piacere. Quello per cui lavoro io è perché sorridano di più le famiglie italiane: in quest’ultimo periodo quando pensano all’Europa non sorridono granché. Ma, insisto, non è colpa dell’Europa, bensì delle riforme mancate».
Anche il presidente di Confindustria Squinzi ha dato del suo colloquio con Merkel una versione assai meno positiva rispetto a quello che è apparso sui giornali. Com’è andata davvero a Berlino?
«Dal momento che qui si parla di rapporti con Stati stranieri, la superficialità e l’improvvisazione lasciano il tempo che trovano. Merkel ed io abbiamo fatto una conferenza stampa insieme: le dichiarazioni della cancelliera e mie le hanno sentite tutti. Gli incontri a livello di Governo sono andati molto bene. Infine, si è svolta una cena in cui Merkel ed io abbiamo partecipato facendo a nostra volta domande agli imprenditori italiani e tedeschi presenti a quel tavolo. Squinzi era lì: se non ha gradito la cena, non so. Magari non ha apprezzato il menù. La parte politica è quella che avete visto voi in conferenza stampa».
Dunque lei di questo bilaterale a Berlino resta soddisfatto?
«Per quel che mi riguarda, rispetto sia all’incontro con Merkel sia a quello con Hollande, noi non siamo studenti che vanno a chiedere se hanno fatto bene i compiti. E siccome io rappresento l’Italia e ne avverto tutta la responsabilità, l’onore e il privilegio, alle ricostruzioni macchiettistiche sul nostro Paese non ci sto. Il peso della nostra storia e lo spazio del nostro futuro sono talmente grandi che denotano, in chi insiste in un atteggiamento di subalternità agli altri Stati, sudditanza piscologica e mancanza di coraggio».
Squinzi è da un po’, per la verità, che non lesina critiche al suo operato. In una singolare sinergia con le critiche che le rivolge, dal fronte opposto, il leader della Cgil Camusso. Non comincia a essere un po’ troppo largo questo fronte del no?
«Rispetto molto sia Camusso sia Squinzi. Ma io non sono qui per loro, io sono qui per le famiglie, per il singolo imprenditore, per le persone che non si sentono rappresentate e che hanno bisogno di vedere finalmente una svolta. Poi, certo, culturalmente mi colpisce questa strana assonanza tra il capo dei sindacati e il capo degli industriali che insieme, davanti alla scommessa politica di togliere per la prima volta alla politica e restituire ai cittadini e alle imprese, si oppongono. Lo ritengo un ottimo segnale che siamo sulla strada giusta. Quando arriveranno i mille euro netti ai lavoratori, gli sconti sul’Irap, quelli sull’energia elettrica vedremo da che parte staranno lavoratori e imprenditori».
Il nostro giornale ha dedicato una serie di inchieste alla poca trasparenza del sindacato, a fronte di una macchina statale che sta cercando faticosamente di rinnovarsi.
«In questo senso ho molto apprezzato quanto ha fatto, proprio in direzione della trasparenza, la Fiom di Landini. In molte cose abbiamo idee opposte, ma do loro atto di aver pubblicato online i conti. I sindacati tutti dovrebbero prendere esempio da Landini, onore al merito».
Sta descrivendo, insomma, uno scontro tra conservazione e riformismo che si gioca sulle teste degli italiani?
«Uno scontro tra palude contro torrente impetuoso, sì. E’ questo il punto centrale. Chi in questi anni ha fatto parte dell’establishment, vive con preoccupazione i cambiamenti di merito e di metodo. Soffrono il fatto che si facciano le riforme senza concordarle con loro. Ma se queste riforme aiutano imprese e famiglie e colpiscono i politici, io vado avanti. E consiglierei una riflessione a quella parte di ceto dirigente che avrà la sua linea Maginot il mese prossimo».
Cosa accadrà tra un mese?
«Prenderemo in mano la riforma della P.A., per scardinarla completamente. Lì vedremo il derby palude contro corrente, conservazione contro innovazione. Sarà durissima, la vera battaglia. Al confronto la strana coppia Camusso-Squinzi contro il governo sarà solo un leggero antipasto, scommette?».
Come si scardina la P.A.?
«Ogni cosa a suo tempo. Ma pensi solo a tutta la riforma delle Province. Non si limita ai 160 milioni di euro di risparmi che facciamo sui consiglieri provinciali o ai 600 milioni di risparmi che facciamo con le spese collegate. Ma ha senso continuare ad avere più di 100 sedi della Banca d’Italia o dell’agenzia delle entrate, per ogni struttura periferica dello Stato insomma? Questo ragionamento spazia dalle prefetture alle Camere di commercio, questo è il vero cuore della partita. Ecco perché abbiamo voluto cominciare proprio dalla politica: perché solo riformando sé stessa, la politica avrà le carte in regola per chiedere a tutti gli altri di cambiare. Vogliamo presentarci il primo luglio a guidare l’Europa avendo messo a posto le cose di casa nostra. Fatta pulizia in casa nostra saremo credibili ovunque».
Per capire in concreto cosa si potrà fare e cosa no, lei lo ha già detto, molto dipenderà dal Def, il documento di economia e finanza. Si è parlato di un’anticipazione possibile, quando lo presenterete?
«Nel rispetto dei tempi. La cosa che ci caratterizza è quella di esserci dati un cronoprogramma e a quello ci atteniano».
E appena avrà in mano il Def verrà varato il decreto per il taglio dell’Irpef ai redditi più bassi?
«Le soluzioni tecniche le affrontiamo dopo, possono essere diverse. Intanto stiamo lavorando, anche ieri sera mi sono visto con Padoan a palazzo Chigi. Sono assolutamente sereno che tutti gli impegni presi li rispettiamo».
Però non la convince la spendig review messa a punto da Cottarelli. Perché?
«Di quella relazione a me piace molto l’idea di un’analisi seria e intelligente della situazione dello Stato, è una buona fotografia. Non mi ha convinto il modo con cui è uscita. Tirar fuori delle slide che fanno apparire la spending come un mero documento ragionieristico è un errore non tanto di comunicazione, quanto proprio concettuale. Non si tratta solo di tagliare una voce ma di riorganizzare la macchina dello Stato. L’obiettivo finale, certo, è reperire risorse. Ma ancor più, passare da uno Stato controparte del cittadino a uno Stato che è suo alleato. E in questo sarà fondamentale l’agenda digitale e l’applicazione dell’innovazione tecnologica».
Al di là dell’impostazione, ha detto che la spending contiene tagli che non condivide. Quali ad esempio?
«Non credo che sia giusto chiedere un contributo a chi prende duemila euro al mese di pensione, per dirne una».
Quindi può confermare che i pensionati non saranno toccati?
«La spending non può poggiare sul contributo dei pensionati per dare ai lavoratori. Non c’è alcun progetto in tal senso. Che poi chi ha delle super-pensioni d’oro, guadagnate con il sistema retributivo, possa essere in futuro chiamato a dare un contributo, non lo posso escludere. Ma parliamo dei prossimi anni, al momento, lo ripeto, non c’è assolutamente niente».
E per il pubblico impiego che novità si prospettano? Ci sono migliaia di dipendenti statali che in queste ore si domandano se alla fine non saranno proprio loro a pagare il prezzo più alto.
«Il problema del pubblico impiego è garantire maggiore efficienza, non dire: adesso licenziamo 100 mila impiegati. Lo sa che, al contrario di quello che si tende a pensare, noi abbiamo un rapporto pubblici dipendenti-cittadino che è assolutamente in media con quello del resto d’Europa? Io non voglio farli lavorare di meno, i nostri. Tutto all’opposto: io voglio farli lavorare di più, e meglio, e garantire a chi lavora bene di guadagnare di più. Per i dirigenti, semmai, ritengo sia tempo di ragionare sulla loro licenziabilità. Il dirigente pubblico non sarà mai più a tempo indeterminato: basta con i grand commis a vita. Ogni amministratore deve poter scegliere il suo dirigente, valutandolo sulla base dei risultati e in piena trasparenza».
Per finire, presidente, giacché si parla di trasparenza. La procura di Firenze ha aperto un fascicolo sulla vicenda della sua casa in centro. Come stanno le cose?
«La mia casa è questa da cui le parlo di Pontassieve, e per la quale ogni mese pago insieme a mia moglie come molti italiani un mutuo trentennale. La casa di cui parla lei è di un mio amico fraterno, che talvolta mi ha ospitato. Adesso però la magistratura ha aperto un fascicolo su questa vicenda. Bene, aspetteremo che sia fatta chiarezza e vedremo chi ha ragione.