Elisabetta Ambrosi, Il Fatto Quotidiano 23/3/2014, 23 marzo 2014
L’ADULTERIO SALVA IL MATRIMONIO DA DESTRA A SINISTRA
Il punto di arrivo sono le foto pubblicate da Chi. Che siano di prima o dopo la bufera poco importa, purché offrano l’ostensione di una coppia che “cammina insieme per strada, lui sorridente, quasi gioviale, lei tirata dietro agli occhiali da sole”. Una coppia che tenta di “ricucire lo strappo grazie al collante più forte: Caterina, Clarissa e “il piccolo Romano, che non ha saltato un allenamento alla Spes Artiglio grazie a papà Mauro che lo accompagnava in motorino” ( Corriere.it ). E chissà se “arriveranno a festeggiare le nozze d’argento o no”, si è chiesta la giornalista di Chi Giulia Cerasoli, incaricata di offrire al grande pubblico la scena finale dell’ultimo atto della vicenda Floriani-Mussolini. Il dubbio fuga i dubbi e così arriva l’abile frase che nulla dice ma tutti rassicura. “Quando sarà il momento penserà a se stessa e a cosa sarà meglio decidere per lei e la sua coscienza”.
C’È UN DÉJÀ VU spaventoso, un copione che si ripete identico, nella fenomenologia del tradimento messa in scena in queste settimane dai media e, per risposta, dagli stessi protagonisti. Quello della sacra famiglia borghese, dove l’adulterio ha un ruolo codificato. Lungi dall’essere qualcosa di estraneo al corpo familiare, ne fa parte a pieno titolo – “le tempeste della vita”, lo ha definito la madre Maria Scicolone - sebbene quando arrivi provochi forzatamente “lo psicodramma”, con tutta la catena di reazioni codificate: il turbamento della Madre - “triste e distrutta” – il colpo di reni che la fa diventare “dignitosa e forte”, per il bene dei figli; infine il perdono del figliol prodigo, con tanto di benedizione ecclesiale nella Chiesa di Sant’Ippolito.
E DIRE CHE IN QUESTO CASO i fatti potevano far presagire qualcosa di diverso: per i quindici anni delle ragazzine, per i dettagli che raccontano uno scenario aberrante e insieme banale – il cinismo degli sfruttatori che procacciavano ragazzine, filmavano video per ricattare, procuravano cocaina; il clienti, a oggi quasi cinquanta - avvocati, manager e dipendenti di aziende pubbliche e private, un figlio di un deputato - di cui la metà indagati. E poi l’ambientazione, una Roma Nord decadente scenario di una famiglia borghese ormai in concreta decomposizione, eppure ancora forte ideologicamente. E infatti questa vicenda proprio questo mostra: che non esistono eventi talmente “orribili” da creare un’evidenza se la percezione degli stessi dipende da uno schema sottostante che non si ha la forza di rompere e che per questo viene coperto da una retorica, che in questo caso ha assunto, per ora, la sua forma più classica - “non posso cacciare di casa il padre dei miei figli” (mentre è probabile che la strategia difensiva legale punterà sulla presunzione di non consapevolezza dell’età perché tutto rientri nel gestibile paradigma del classico adulterio). Il “modello Rachele” - “la donna che occupa saldamente il fortilizio casalingo, dove il maschio italiano, che ha l’adulterio facile ma resta fondamentalmente monogamo, corre a rifugiarsi dopo i pompeggi extra”, scriveva Gian Carlo Fusco in Mussolini e le donne -. La donna che mai ha ripudiato il marito traditore, ieri nella Sala del Mappamondo (dove il Duce consumava i suoi adulteri), oggi su Bakekaincontri.
E SE IPOCRITA È APPARSA la solidarietà della destra e della sua stampa, dagli improvvisi toni soft pieni di solidarietà mai riservati a chi in passato si è voluto colpire, incomprensibile è stato anche lo schierarsi di donne progressiste a difesa di una privacy che, se formalmente giusta, dimentica quanto l’anomala destra italiana abbia reso essa stessa impossibile quella distinzione tra pubblico e privato che ora si invoca. Una cultura che ha sempre legato il potere a uno schema sessuale che nessuna delle donne della libertà (tranne quella Veronica Lario che parlò di “ciarpame senza pudore in nome del potere”) ha avuto il coraggio di contestare persino quando, in una sorta di sindrome di Stoccolma degli istinti, aveva il potere in mano. Né tantomeno lo ha fatto la Mussolini, fervente berlusconiana. Anzi, quando Carfagna tentò in un’intervista di alzare la testa, le fece una foto col cellulare con Bocchino chiamandola “vajassa”.
LA DESTRA DI CUI MUSSOLINI fa parte ha lasciato alle donne silenti le presidenze delle Pari Opportunità e delle Commissioni Infanzia: battaglie considerate di nicchia, che facevano gioco mentre il Gioco, culturale e (im)morale, lo teneva saldamente in mano lui: con leggi ad personam, candidature pubbliche di beniamine private, rivendicazione della massima libertà per il proprio corpo e della prigione per i corpi degli altri (mai dimenticare Eluana Englaro). Ma il modello Rachele resiste anche a sinistra. Non è stato rovesciato né dal Pci né dal Pd che, senza bisogno di ricordare il caso Marrazzo col suo strascico di morti, non ha espresso uomini e donne capaci di fare delle libere scelte sul proprio corpo una battaglia identitaria, mettendo in scena un copione diverso e finalmente liberatorio.
E ALLORA ALTRO CHE indignazione o scandalo: la vera notizia in questa vicenda è un’altra: non possiamo fare a meno dell’ideologia dell’adulterio clandestino, anzi ci aggrappiamo a esso con ogni forza. Tanto che tutte le proposte di leggi sulla prostituzione, dal ddl Carfagna affossato come un testimone incappato per sbaglio sul luogo di un omicidio, il caso Ruby, per arrivare all’ultima proposta di legalizzazione delle sex workers della Pd Spilabotte, si sono infranti sulla segreta volontà di lasciare le cose come stanno. L’adulterio che tiene insieme la famiglia sembra essere quasi l’unica certezza rimasta, forse proprio contro la paura di un relativismo etico davvero dilagante per il quale ci vorrebbero nuovi modelli e nuovi linguaggi.
Così l’Italia resta un paese in cui, mentre nella gestione della cosa pubblica vige saccheggio libertino, non si può scegliere liberamente di morire, di abortire o di avere figli, né di fare scelte affettive e sessuali che esulino da schemi agonizzanti. Un paese dal gigantesco debito, soprattutto (im)morale, non solo economico.