Guido Ruotolo, La Stampa 23/3/2014, 23 marzo 2014
NEI POZZI DEL METANO LE DISCARICHE DEI VELENI
Che emozione quel 27 febbraio del 1959, quando la prima fiamma si sprigionò altissima dal pozzo Ferrandina 1. Le trivelle erano scese a 1.800 metri di profondità prima che il metano risalisse in superficie.
E fu festa anche quando aprirono le «fabbriche» che diedero il pane a 6mila disoccupati, braccianti, giovani lucani: Ceramica Pozzi, Eni, Montecatini. Erano gli anni delle grandi migrazioni. Duecentomila figli di questa terra andarono al Nord. E le fabbriche erano il segno del lavoro, il petrolio e il metano della ricchezza nascosta di questa terra. Che poi in futuro si sarebbe trasformata in occasione di «royalties», una percentuale data alla comunità locale in base alla quantità e ai profitti delle aziende per l’estrazione di petrolio e metano.
Il problema di questa storia è che il tempo non passa mai, è la realtà che per incantesimo rimane immutata. Perché le fabbriche a un certo punto chiusero e i veleni chimici, metalli e poi amianto - e quelli arrivati chissà da dove - furono iniettati negli inferi di questa terra, in quei pozzi esauriti e riciclati come fogne di «tossici e nocivi», o sotterrati a pochi metri dalla superficie. Grandi scienziati gli strateghi dei rifiuti tossici scaraventati nella pancia della terra. Pensavano di aver risolto il problema, solo che con il passare degli anni «quei veleni potrebbero risalire verso l’alto, attraverso le falde acquifere», denuncia l’ispettore della Forestale Michele Cosola.
Come se non bastasse, nel dicembre del ’97 si ruppe un tubo sversando al suolo un lago di «reflui destinati alla reiniezione del pozzo Agip Grottole 11, località Pantano in agro di Salandra». Il pool investigativo coordinato dall’allora giovane funzionario della Forestale Giuseppe Giove e i consulenti della Procura della Repubblica di Matera accertarono che nei pozzi erano stati smaltiti «solventi clorurati (sostanze organoalogenate), mercurio e fenoli», tutte sostanze pericolose per la salute umana che giacciono ancora in quelle profondità.
Disse alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, l’ex pm presso la pretura di Matera, Franca Macchia: «Le nostre indagini sulle attività dell’Agip in Basilicata hanno già portato a giudizio cinque tra dirigenti e dipendenti. Abbiamo ritrovato in un pozzo esaurito rifiuti di origine chimica che i nostri consulenti hanno definito assolutamente incompatibili con le attività di estrazione mineraria». Qualcuno ha provato ad addossare, addirittura, la responsabilità a un ecoterrorista quando nel marzo del 2011 in località Cardillo, comune di Bernalda, saltò una valvola che immetteva petrolio nell’oleodotto che arrivava a Taranto, contaminando circa tre ettari di terreno con acido solforico ed idrocarburi.
Anche il nucleare sembrava un problema risolto. Centro Enea di Trisaia, Rotondella. Era nato nel 1962 perchè doveva riprocessare gli elementi esauriti del combustibile nucleare, 84 barre della centrale di Elk River (Usa). Fu tutto bloccato dagli americani e noi ci ritrovammo con niente in mano. E il Centro Enea divenne un deposito di scorie nucleari.
Solo che in questi anni abbiamo rischiato tanto, sacrificando anche l’altare della «trasparenza». Almeno due “incidenti” - nel 1993 e 1994 - al Centro di Trisaia furono tenuti nascosti (e i responsabili poi processati e condannati). Ma ve ne sono stati altri. Di sicuro nel novembre del 2006, tanto che furono fatti «lavori di isolamento della fossa 7.1, che contiene rifiuti ad alta attività». Ufficialmente «si trattò di fuoriuscita di radionuclidi segnalati dalle centraline di monitoraggio».
Ecco, il tempo che non passa mai è uno stato d’animo di precarietà, è un pericolo incombente che ti accompagna sempre. È anche una dimensione storica e fisica. Te ne convinci passeggiando in quello che sembra un prato, tra archeologia industriale, manufatti degradati in lontananza, e flash back che ricordano la Prima Repubblica, con i suoi misteri, i suoi scandali - ricordate la Liquichimica di Ursini? I dossier di Mino Pecorelli e della sua Op?- e quella stagione delle vacche grasse, con sperperi pubblici e notabilati politici a farla da padrone.
Quel prato, racconta Domenico Lence, che è la memoria storica, dell’ambientalismo lucano (le sue denunce hanno portato alla chiusura di impianti, al ritrovamento di rifiuti tossici) «è un pezzo di storia». Qui la grande occasione arrivò alla fine del 1959, con la scoperta del metano (e del petrolio, nella confinante Val d’Agri). Un muro di cinta di mattoni definisce il quadrilatero di questo campo che degrada fino a un’ansa del fiume Basento, che deve percorrere ancora una ventina di chilometri prima di disperdersi nel mare, a Metaponto.
Passeggiando nella discarica di rifiuti pericolosi della ex Liquichimica di Ferrandina, ove tutti possono accedervi in quanto non sono più presenti recinzioni o sistemi di sorveglianza - pascolano anche le mucche - ci accorgiamo che potremmo trovarci di fronte a “un reato in corso”: oltre a non essere assicurata l’interdizione dell’area, mancano un sistema di raccolta del percolato e camini di aerazione.
Nelle discariche presenti nell’agro di Pisticci il pool investigativo del comandante Giuseppe Giove, come ricorda l’ispettore Cosola, trovò addirittura sostanze altamente tossiche come toluene (sostanza letale in caso di ingestione e di penetrazione nelle vie respiratorie) e o-xilene (nocivo per inalazione e contatto con la pelle). Ma gli anni passarono, con le sentenze furono condannati gli autori dei reati, ma tali sostanze non furono bonificate e giacciono ancora lì.
È vero che Andrea Spartaco, un giovane cacciatore di notizie - un giornalista locale che sta vivendo con la sua redazione giorni di tensione per minacce oscure - sostiene che «il problema della Val Basento è lungo 33.5 chilometri». Si riferisce al sito di bonifica di interesse nazionale Val Basento, riconosciuto tale dal 2003, «ma che siano 35 chilometri o 34 ettari da bonificare poco importa. Di certo si segnalano ritardi ingiustificabili. In alcuni casi l’unico trofeo che lo Stato può esibire è la messa in sicurezza di alcuni siti inquinati».
(3. Continua)