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 2014  marzo 23 Domenica calendario

I GIUDICI NON POSSONO FERMARE UN AFFARE DA 25 MLD


Anche il tempo gioca brutti scherzi a Giuseppe Sala, commissario straordinario dell’Expo 2015. Tanto per sdrammatizzare, dopo l’imbarazzante conferenza stampa in solitario, Sala aveva chiuso l’intervista di ieri al «Corriere della Sera» affermando che «la cosa più importante è che ora non ricominci a piovere, perché abbiamo un cantiere da mandare avanti». Ahimé, non è stato accontentato. Poco male: il sole, prima o poi, tornerà a splendere e i lavori riprenderanno. Anche al padiglione tedesco il cui cantiere, salvo nubifragi, aprirà i battenti proprio domani, con la consueta puntualità che distingue il Paese di Angela Merkel.
Ma non temete: prima o poi, anche il premier Matteo Renzi troverà l’occasione per fare, tra una visita a una scuola e l’altra, una puntata dalle parti di Rho Pero. Speriamo presto, anzi prestissimo, tanto per scongiurare l’ennesima brutta figura per il Paese. Guai se, come ha promesso a Sala, si farà vedere nei cantieri milanesi solo tra un paio di settimane, dando così la sensazione di voler stare alla larga da una materia che scotta, un po’ per l’inchiesta della procura su Infrastrutture Lombarde, un po’ per l’imba - razzante spettacolo offerto dai vertici del Comune di Milano e della Regione Lombardia. Dopo l’assenza di Giuliano Piaspia e di Roberto Maroni all’incontro con la stampa che ha avuto come unico protagonista Sala, s’impone un gesto forte, tanto per riaffermare sia in Italia che di fronte agli ospiti stranieri la determinazione dell’Italia a salvaguardare Expo, non solo la più importante manifestazione internazionale affidata al Bel Paese da tempi immemorabili, ma anche l’unica vera iniziativa bipartisan del terzo millennio in cui governo ed opposizione, potere centrale e poteri locali, hanno fatto a suo tempo fronte comune per sostenere la candidatura di Milano. Ora quella rara manifestazione di buon senso e di responsabilità rischia di ricaderci in testa come un pesante boomerang dopo le baruffe di venerdì. Non si tratta, per carità, di entrare nel merito dell’inchiesta e invadere il campo d’azione della magistratura. Ma semmai di rivendicare il primato della politica, che si conquista assumendosi le responsabilità. E se non si fa avanti il sindaco di Milano, si muova il sindaco d’Italia perché la figuraccia la rischia il Paese intero. Compresa la nuova Italia decisionista, quella che promette di far le riforme e di rivoltare il Paese come un calzino nel giro di settimane, ma non riesce a rispettare i tempi di consegna di un cantiere. Qui, più che nei salotti tv o nelle comparsate con Frau Merkel con la ma- glia di Mario Gomez, si gioca la credibilità del nuovo governo. Inutile contrattare nuovi trasferimenti da Bruxelles o, peggio, chiedere di tener fuori dal debito gli investimenti in compartecipazione con i fondi Ue, se la musica non cambia. Con che faccia, risponderà Mutti Merkel, l’Italia vuol alzare la voce su nuovi fondi per le grandi e piccole opere se non riesce a garantire un cantiere alle porte di Milano?
Insomma, la partita dell’Expo è troppo importante per confidare che il tempo, oltre a un po’ di pioggia, possa portare consiglio e così svelenire una situazione che semmai tende a peggiorare. Anche perché, al di là del valore politico e psicologico, la posta in gioco è troppo importante per lasciarla in mano a protagonisti preoccupati più che altro di non bruciarsi le mani. L’Expo 2015 è una grande sfida economica, che vale, secondo le proiezioni della Bocconi, attorno ai 25 miliardi di produzione di qui al 2020, di cui la metà circa destinati a Milano. La ricaduta occupazionale, dall’edilizia al turismo, si misura in oltre 100 mila posti. Ma questi numeri danno solo parzialmente l’idea delle ricadute sulla città, a partire dalle infrastrutture.
Guai a gettare al vento un’occasione così. O, comunque, guai a dare al mondo la sensazione di essere «i soliti italiani», un po’ pasticcioni, un po’ mafiosi, un po’ di - visi tra guelfi e ghibellini senza un’idea del bene comune. Alla fine, si sa, l’Expo si farà. Ma guai se la signora Merkel, di qui al 2015, dovesse dire: «Caro Renzi, ma ce la farete?».