Danilo Taino, Corriere della Sera 23/3/2014, 23 marzo 2014
INVESTITORI E RENZI: FIDUCIA NON SCONTATA
Statisticamente, non si possono presentare come «quello che pensano i mercati di Renzi e dell’Italia». I numeri qui di seguito sono però un’indicazione che non si dovrebbe discostare troppo. Vengono da una riunione che si è tenuta a Londra lo scorso 20 marzo: a più di 300 investitori che hanno partecipato al suo Italy Investor Day, la Royal Bank of Scotland (Rbs) ha posto una serie di domande. Le risposte sono interessanti. C’è un risultato che dovrebbe gonfiare di orgoglio e di timore Matteo Renzi: tre quarti degli investitori dicono che venderebbero titoli italiani se fosse incapace di produrre riforme. Per ora lo guardano: il 38% dice che ha chance di successo; non poco, ma molto meno del 62% che ritiene che non ce la possa fare. Questa è, in qualche modo, la sfida che il governo ha di fronte.
Di base, i 300 non sono negativi sull’Italia. Nel Paese stanno confluendo flussi di capitale in cerca di investimenti interessanti e non vogliono essere esclusi dal fenomeno: il 70% dice che nei prossimi tre mesi comprerà asset (titoli finanziari o beni) italiani; il 30% risponde di no. E il 35% degli intervistati sostiene che la «stagnazione delle riforme» è la ragione che li trattiene dall’investire o dall’investire di più in Italia: un altro 21% non comprerà altri asset italiani perché ne ha già a sufficienza, un 15% a causa delle prospettive macroeconomiche di lungo periodo, un 12% per il rischio politico e un 12% a causa della mancanza di trasparenza, ad esempio nelle banche. Solo il 2% porta come ragione il basso rating del Paese.
Insomma, c’è parecchio da fare per convincere i mercati che l’Italia è una storia d’investimento di lungo periodo. Soprattutto, gli investitori vogliono vedere cambiamenti: per il 67% , la prima ragione per la quale potrebbero uscire dall’Italia sarebbe «la mancanza di progressi nelle riforme»; il 13% lascerebbe il Paese se i titoli del Tesoro americano superassero il 3% di rendimento e un 13% se alle elezioni europee di maggio ci fosse un’affermazione «consistente» delle forze anti-euro. Per il momento, comunque, la maggioranza investe in Italia: il 31% preferisce la Borsa, il 27% bond di banche o di imprese, il 18% titoli garantiti da asset o da mutui, il 6% beni reali e solo un altro 6% titoli pubblici. Il 57% degli interrogati da Rbs pensa che a fine anno lo spread tra i titoli di Stato italiani e i Bund tedeschi sarà attorno ai 150 punti base, il 18% lo prevede a 100 , l’11% a 200 e un 5% sotto quota cento . Solo un 3% lo prevede sopra quota 300 .
Il 21% degli investitori pensa che il «maggiore problema di lungo periodo dell’Italia» siano i colli di bottiglia nel mercato del lavoro, il 20% sceglie il rischio politico, il 18% corruzione e crimine, il 13% il debito pubblico, il 10% la lunghezza dei processi. La «riforma più importante per Renzi», dunque, è quella del mercato del lavoro per il 28% degli investitori, ma è superata dalla priorità di ridurre la spesa e la burocrazia (37% ); la riforma elettorale è l’urgenza numero uno per il 21% e quella delle tasse per il 9% .
Indicazioni interessanti, ricordando che gli investitori «votano, con i piedi»: così come vengono, se ne possono andare.