Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 23 Domenica calendario

LO SCHIAFFO DI TWITTER A ERDOGAN


In Turchia ieri impazzava un video che riproduce una scena tratta dal film di Costa Gavras Stato d’assedio (1972) dove in una piazza di un Paese dell’America Latina decine di poliziotti corrono come mosche impazzite nel tentativo di spegnere gli altoparlanti che diffondono la canzone rivoluzionaria Hasta Siempre . Ma ogni volta che ne distruggono uno la musica ricomincia da un’altra parte. È quello che è successo al premier turco Recep Tayyip Erdogan che giovedì scorso ha fatto chiudere Twitter per dimostrare al mondo la sua potenza: «Non mi importa di quello che penserà la comunità internazionale — aveva detto — tutti saranno testimoni del potere della Repubblica turca». Quello che il sultano di Ankara non aveva previsto è che mettere il bavaglio alla tecnologia oggigiorno è praticamente impossibile. Non solo dopo il blocco la gente ha continuato imperterrita a cinguettare ma lo ha fatto ancora più di prima. Secondo l’agenzia di rating dei social media Somera sono stati 6 milioni i turchi che hanno twittato tra le 23 del 20 marzo e le 12 del 21 marzo contro i 4,5 milioni del giorno prima. Quel 33% in più di tweet dà la misura della sconfitta di Erdogan. Se lo scopo era quello di impedire «la sistematica diffamazione del governo, tramite la circolazione di intercettazioni telefoniche acquisite illegalmente e falsificate», come scriveva ieri l’ufficio del premier, è chiaro che l’obiettivo è stato mancato. Continuare su questa linea, chiudendo anche Youtube , Facebook e Google , potrebbe esporre Erdogan al ridicolo.