Carlo Ripa di Meana, Il Fatto Quotidiano 22/3/2014, 22 marzo 2014
RENZI, IN CINA RICORDATI DI PRATO
Gentile Signor Presidente Renzi. Come Lei sa, il giorno primo dicembre 2013, quindi solo tre mesi e mezzo fa, nel settore del “pronto-moda”, al Macrolotto di Prato, sette esseri umani sono morti carbonizzati senza possibilità di scampo, in un capannone industriale, adibito abusivamente anche a dormitorio. Di queste sette persone per diversi giorni non si sapeva nemmeno chi fossero: uno solo infatti era stato identificato. Si sono poi ricostruite le terribili condizioni di illegalità, sfruttamento di mano d’opera clandestina e schiavitù in cui vivevano questi sette operai di nazionalità cinese. Da più parti è stato detto – e a me, personalmente, è stato ripetuto dal Procuratore Capo di Prato, Piero Tony – che si trattava di una disgrazia annunciata, che si potrebbe ripetere in qualsiasi momento, data la situazione priva di norme di sicurezza in cui centinaia, migliaia di esseri umani lavorano, vittime di uno sfruttamento indegno.
OGGI, dopo essersi insediato a capo del nostro Governo, avere annunciato le prime misure economiche che ritiene necessarie al nostro Paese, e aver fatto il giro delle cancellerie europee, Lei annuncia l’intenzione di recarsi nella Repubblica cinese nella prima metà del mese di aprile.
So che questa Sua visita in Cina era già in programma da tempo. Molto probabilmente con l’obiettivo di promuovere negoziati per rilanciare i rapporti bilaterali e riequilibrare la bilancia commerciale fra Italia e Cina. La invito, in questa prospettiva, a prendere in esame il gravissimo problema che riguarda la ormai tristemente nota sacca di degrado e illegalità del Distretto Cinese in Toscana, con la realtà di Prato come suo perno.
Lei ha ricoperto vari ruoli nelle Istituzioni toscane, perciò conosce per filo e per segno, da tempo, la condizione di schiavismo e di illegalità in cui opera una parte della comunità cinese nel cuore della nostra civilissima città di Prato, uno degli storici centri della cultura e dell’arte italiana.
A Lei, che caratterizza la Sua azione di governo per rapidità, rivolgo l’invito a risolvere con la massima urgenza questa situazione gravissima e disonorante, che non può essere risolta in modo bilaterale tra le istituzioni italiane e le istituzioni dell’altro paese interessato, la Cina. Le chiedo di non perdere un minuto di più, per iniziare l’opera di emancipazione dalla schiavitù di centinaia o forse migliaia di operai cinesi nel Macrolotto di Prato, oltre che nella zona di Pistoia e in frazioni del Comune di Firenze, come ha precisato il Procuratore Generale Tindari Baglione. È una situazione che la tragedia del rogo del primo dicembre 2013 a Prato ha esemplificato agli occhi del mondo, ma che era nota da tempo e comprovata da una serie di documenti, che sottopongo alla Sua attenzione.
LA SITUAZIONE è tanto più specifica in quanto si riferisce a un territorio di provenienza limitato, precisamente alla zona circoscritta dello Zhejiang, una regione della Cina sudorientale e in particolare alla città di Wenzhou (otto milioni di abitanti), situata di fronte a Taiwan. Una zona lungamente analizzata, studiata e descritta dal professor Romano Prodi, nei suoi numerosi ruoli di guest professor, che ha tenuto corsi alla Scuola del Partito Comunista cinese, e di rappresentante, ufficiale, in Italia dell’Agenzia cinese di rating, Dagong. Romano Prodi è il più sollecito narratore di questa inquietante realtà cinese parallela, lacerata da violente tensioni sociali.
La Cina sta compiendo notevoli sforzi per rinnovare la propria struttura sociale ed economica: ne sono testimonianza non solo gli articoli di cui è frequente autore il professore Romano Prodi, che dopo il Plenum del partito Comunista cinese, il 18 novembre 2013, ha scritto di “un promettente processo di liberalizzazione del sistema bancario, di una progressiva abrogazione della regola del figlio unico e di una limitazione dell’applicazione della pena di morte”.
Mercoledì 18 febbraio 2014, mi sono recato a Prato, per compiere una breve indagine, insieme ad altre tre persone . Sono entrato in auto nella zona del Macrolotto, il quartiere del “pronto-moda” che, come Lei sa bene, è una vera e propria selva di capannoni, con insegne in italiano e in cinese, e ho tentato di “sbirciare” dentro quel mondo di illegalità e schiavismo, della cui esistenza si ha ormai l’assoluta certezza. La zona era praticamente deserta, per le strade due o tre passanti (cinesi). Quando ho cercato di entrare nel capannone di “Ye Life”, accanto a quello di “Teresa Moda” al numero 63 di via Toscana, dove è avvenuta la sciagura del primo dicembre 2013, ho incontrato l’ostilità decisa di una ragazza cinese in pantaloni e giacca di pelle nera, che mi ha invitato ad andarmene con poche parole perentorie: “Non parlo italiano, non capisco, se ne vada”. Accanto a lei era ben presto comparso un ragazzo, anche lui vestito di nero e anche lui decisamente ostile.
Ho fatto una breve visita alla libreria Ou Hau di via Cavour 13, dalla quale attraverso il sistema del Money2Money sono stati spediti in Cina 356 milioni di euro, secondo l’indagine del Sostituto Procuratore Pietro Suchan. La libreria non c’è più, è rimasta solo l’agenzia di viaggi che era collegata a essa. Due gentili ragazze cinesi mi hanno detto che la libreria ha chiuso per via della crisi e mi hanno regalato un libro di ideogrammi e disegni cinesi. È stato un momento di grande cordialità e cortesia reciproca.
Purtroppo, sono ripartito con l’amara convinzione che tutto fosse rimasto esattamente com’era prima dell’incendio del primo dicembre 2013.
IN BASE a tutte le informazioni che ho raccolto, il giorno 7 di marzo 2014 sono tornato a Prato e ho presentato ufficialmente un mio esposto-denuncia al Procuratore Capo di Prato Piero Tony, che lo accolto, controfirmato e autenticato. In esso io chiedo con forza che si intervenga per sanare questa situazione disperata e illegale, e che vengano sottratti allo stato di sfruttamento illegale tutti questi esseri umani che a Prato, e nei vicini sobborghi, vivono in una situazione inaccettabile per un paese civile come il nostro.
Il giorno dopo, 8 marzo 2014, Il Fatto Quotidiano ha dato ampio spazio e risalto alla notizia, rendendola pubblica. Ora la decisione sta a Lei, Signor Presidente. Lei ha il dovere e il potere di intervenire e di eliminare questa sacca di schiavismo e illegalità nel cuore dell’Italia. Io Le chiedo di rendere operativa nei tempi più brevi possibile l’azione di risanamento, per mettere fine a tutto questo, rammentandoLe con forza che attendere la sincronia da parte cinese, vorrebbe dire rinunciare di fatto all’azione. L’Italia è un grande Paese, la Toscana è regione molto rappresentativa dell’italianità: non permetta che tutto questo venga coperto dal disonore. È ora di riscattare la dignità del nostro Paese.
A Berlino, l’altro giorno, Lei ha evocato la grandezza del Rinascimento italiano, di cui si sente continuatore e tramite. Pensi piuttosto, Signor Primo Ministro, a liberare gli esseri umani tenuti in schiavitù a Prato, esercitando i poteri di cui dispone, e che, con molti altri, non ha mai esercitato per indifferenza e calcolo.