Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 22 Sabato calendario

“IL NOSTRO LAVORO? MIO PADRE S’INCAZZA SE LO CHIAMO COSÌ”


C’è chi fugge da Foggia per tornare al punto di partenza e chi da Foggia è partito per approdare al cinema. Pio e Amedeo (all’anagrafe si chiamerebbero D’Antini e Grieco, ma niente in questa storia è meno essenziale del cognome) negli anni di Telefoggia e dei villaggi turistici battuti palmo a palmo alla ricerca di ingaggi e comprensione non l’avrebbero mai immaginato. Invece è accaduto e ora, con 500 copie e il primo posto tra gli incassi ancora indefiniti del giovedì, sognano di recitare da nipoti di Checco Zalone in una pochade che dal Tavoliere, tra un equivoco e l’altro, plana fino ad Amsterdam. Il film si chiama Amici come noi, l’hanno prodotto Camilla Nesbitt e Pietro Valsecchi per Taodue e per ora, ai due ragazzi che hanno perso la voce, indossato abiti da Iene per provocare Paolo Sorrentino in California e sfiorato l’incidente diplomatico a Sochi: “Ci hanno arrestato in compagnia di Vladimir Luxuria – dice Pio – ma per il casino che abbiamo armato non è stata una sorpresa” è arrivato il momento della verità. Dentro o fuori. “Con la consapevolezza - sostiene Amedeo, quello dai tratti meridionali così distanti dal profilo nordico di Pio – che se andasse male, potrebbe essere finita prima ancora di iniziare”. Per ora, in attesa di improbabili smentite, tutto bene: “E francamente
– giura Pio – è un piccolo miracolo”.
SONO NATI a Foggia, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro nel 1983 e sono cresciuti fianco a fianco nello stesso quartiere. Il padre di Amedeo faceva il portiere di un paio di stabili attraversando l’esistenza e le differenze di casta dietro il vetro di una guardiola: “Ha tirato su quattro figli con due lire senza farci mai mancare nulla. Di mattina , si alzava alle 5, lavorava nel posto in cui sono nato. In palazzoni in cui credo che a vent’anni di distanza, non ci sia una fedina penale in regola con le leggi dello Stato. Nel pomeriggio invece si spostava nella Foggia dei ricchi, a guardia di uno stabile in cui vivevano i figli dei medici, degli avvocati e dei professori. Così sono venuto su con amici benestanti e fratelli mascalzoni, in un contrasto di modi e maniere che anni dopo, quando si è trattato di mettere in scena le maschere della commedia, si è rivelato utilissimo”.
Nel film i due si sono divisi i ruoli. Amedeo è un ceffo spaventoso, incline alla battuta greve, gestore di un improbabile negozio di pompe funebri hi-tech chiamato “Hai l’under” (sarebbe “Highlander” ma la semplificazione dialettale aiuta) e aggressivo calciofilo. Nel tempo libero trotta da fantasista e capitano della Real Zapponeta e all’inseguimento nient’affatto metaforico dell’arbitro cornuto, si lancia spesso e volentieri. Cornuto o almeno convinto di esser tale in Amici come noi è invece il mite Pio. La sua ragazza e promessa sposa Alessandra Mastronardi ha un tatuaggio sulla schiena. Osservando un video su Youporn, lui crede di riconoscerla, manda all’aria il matrimonio e si avventura alla ricerca di una verità che avrà il conforto del lieto fine.
LA TRAMA è esile e la critica forse non plaudirà, ma come sempre c’è uno iato tra la gente in fila fuori dalle sale e la percezione complessiva di un’operazione che non confinando con la filantropìa è anche marketing. Se qualcuno evoca Franco e Ciccio, Amedeo preferisce rimanere a quello che conosce: “Abbiamo messo semplicemente in scena una provincia che è ancora, in buona parte, la culla del pregiudizio e dell’anatema collettivo. Non volevamo cadere nella volgarità, ci siamo mossi in equilibrio sul filo e speriamo di esserci riusciti. Ma io e Pio non siamo e non saremo mai Zalone. Ci muoviamo in un registro reale e puoi incontrarci per la strada. Zalone è un fumetto e i fumetti li leggi solo sulla pagina”. Sarà anche vero, ma l’inattesa piega degli eventi ha reso favolistico il presente di Pio e Amedeo e messo sotto le dolci lenti della rivalutazione anche un passato agitato come un’onda. Gli inizi di Amedeo, ad esempio: “In un villaggio che si chiamava ‘Il Funno delle Noci’. In pugliese il funno significa fondo e tra quei 100 vacanzieri di Peschici in gita sul Gargano e il proprietario bestemmiatore di professione, la sensazione di toccarlo, il fondo, ogni tanto ce l’avevi”. Quello di Pio: “La prima volta che andammo in teatro in coppia con Amedeo, presentammo uno spettacolo indecente, ma trovammo ad attenderci un inaspettato sold-out. Increduli, pensammo di avercela fatta e ci sfregammo le mani dandoci di gomito. Poi scoprimmo che erano tutti parenti, anche un po’ molesti.
Essere partiti dal basso ci aiuterà in caso di malaugurata caduta. Abbiamo visto luoghi difficili, la paura è relativa”.
La genesi del film la racconta Amedeo: “Andammo a trovare Valsecchi perché ci era stata promessa una parte ne I soliti idioti in trasferta a New York. Poi quel film non si fece, ma il produttore ci riconvocò comunque. Ci chiese se avevamo un soggetto per il cinema e dopo la nostra prima risposta negativa, ce lo richiese scandendo domanda e risposta incorporata: “Io so che ce l’avete”. Siamo partiti così, senza canovaccio né copione. Il film è nato praticamente sul set”. Dove il rapporto con Valsecchi, giura Amedeo, è stato per così dire alterno e “dialettico”: “Ha modi bruschi, ma predilige la verità alla finta gentilezza e sa perfettamente cosa fare” e anche oggi che le scenografie dell’esordio sono state smontate, promette di durare.
SE CON ZALONE e I Soliti idioti sono stati ampiamente superati i 100 milioni di incassi complessivi, Amici come noi punta a esistere e a resistere per dare ai due attori una seconda opportunità. Alla fine, pur con costi, rendiconti e consuntivi, per Pio e Amedeo rimane un gioco. Lavoro, sottolinea Amedeo, è una parola enorme: “Se lo chiamo così mio padre si incazza” e Pio rincara: “Il mio modello e non solo per la scorrettezza che è una cifra che amo, è Checco Zalone. È rimasto semplice nonostante il trionfo e sono certo che non sia stato facile”. In vista delle possibile trasformazione, Pio si aiuta con i messaggi degli amici: “Mi hanno chiamato. Mi hanno scritto: ‘Amo fattu u pumman’”. Hanno riempito un Pullman in direzione cinema. Succede. Succede ancora.