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 2014  marzo 22 Sabato calendario

PRIMO AVVERTIMENTO: IL VENETO SE NE VA


«El segreto della felisità xè la libertá e della libertà el corajo», diceva Bepin Segato, conosciuto ai più come
l’ambasciatore dei Serenissimi, ovvero coloro che la
notte tra l’8 e il 9 maggio 1997 occuparono simbolicamente piazza San Marco a Venezia con il loro tanko targato MB007, dove MB stava per Marcantonio Bragadin, eroe veneziano morto e dilaniato per mano dei musulmani nell’isola di Cipro, mentre 007 voleva essere una provocazione allo Stato italiano, come a dire «guardate che ne abbiamo almeno sette di tanki». Sono passati quasi 14 anni da quella notte che svegliò dal torpore padano tutto il popolo veneto. E ora non c’è più bisogno di millantare tanki immaginari. Stavolta sono due milioni, di essere umani, quelli che hanno detto: basta Italia. Il plebiscito on line è stato più che un successo. Segno che anche il sacrificio dei serenissimi e le parole di Bepin Segato non sono cadute invano: per arrivare alla libertà ci vuole coraggio. E Gianluca Busato ne ha dimostrato da vendere, organizzando un referendum di questo tipo. Come lui sono stati coraggiosi pure le centinaia di volontari che hanno lavorato,gratis (capito Pd?), per far avere il codice elettorale a milioni di famiglie venete. Hanno avuto coraggio infine coloro che hanno votato, fottendosene del fatto che non fosse scritto sui giornali o che non se ne parlasse in tv. Segno che il popolo fortunatamente non è più formato da servi stolti, come vorrebbe una certa sinistra. Segno inoltre che la rivoluzione digitale sta distruggendo i dogmi su cui s’è poggiata questa repubblica italiana, impostati da una cultura catto-comunista.
Al plebiscito per l’indipendenza del Veneto hanno votato parecchi over 65. Gente che non sa nemmeno cosa sia internet, ma che per la causa veneta, si è messa lì davanti al computer con figlio amici e ha dato il suo assenso. Una protesta silenziosa ma forte, decisa, devastante. Lasciamo perdere il conto da poveracci su quanti voti siano veri o falsi. Guardiamo la sostanza: c’è un popolo in Italia che non vuole più stare in Italia. Non ha intenzione di sparare o seguire strade pericolose, ma ne ha le palle piene delle promesse mai mantenute di tutti i partiti che hanno pernottato in Parlamento negli ultimi trent’anni. La cosa però che più dovrà far pensare i politici, in primis quelli veneti, è che questa mobilitazione è partita senza una leadership. Paradosso dei paradossi: da quando Bossi e Berlusconi non sono più protagonisti è caduto l’argine che frenava la voglia di non pagare più per l’incapacità di questo Stato a definirsi tale: tutto intento a tassare e a trattare tutti da criminali, fino a prova contraria. Se poi ci mettiamo la crisi, ecco pronto il cocktail che rischia di far saltare il giocattolo chiamato Belpaese.
Occhio, Italia, perché coloro che negli ultimi anni hanno lavorato per la causa veneta non sono più i buzzurri - se mai ci sono stati - di stampo leghista della prima ora. I venetisti sono tutti giovani, laureati, con le idee chiare sul proprio lavoro. Molti anche imprenditori. Non passano le giornate a piangere sui giornali o in tv a dire che sono precari e che lo Stato deve aiutarli. Questi signori, che stanno facendo riscoprire il leone di San Marco anche alle generazioni violentate dal fascismo e dal comunismo, sanno pure le lingue. Hanno contatti all’estero, non temono l’euro, parlano con facilità con catalani, bavaresi e scozzesi, non come la Lega che sposa i nazionalismi anti-autonomie.
Siete mai stati alla festa dei veneti, che si tiene a Cittadella da qualche anno la prima domenica di settembre? In un weekend si riversano su una piccola piazza decine di migliaia di persone, che sono di destra, centro, sinistra ma che sono uniti dalla bandiera della Serenissima. E avete mai assistito alla marcia “da San Marco a San Marco”? Terminerà questo fine settimana: un gruppo di veneti percorre le strade della regione con la bandiera che rappresenta mille anni di storia, passandosela di comunità in comunità. A differenza dei grillini, che sono un fenomeno di protesta e abbastanza digitale, i veneti fanno più paura perché sono un popolo, mentre non si è ancora capito il senso del M5S se non quello di rompere tutto. Certo, si dice, i venetisti non hanno un leader... Beh, se Luca Zaia vorrà rivincere le regionali l’anno prossimo, non potrà non sposare la causa indipendentista...
Sicuramente già da lunedì la questione veneta tornerà tuttavia in freezeer, perché ci sarà da riferire delle schermaglie sull’Italicum o su qualche lotta interna al Pd fra giovani turchi diventati armeni e i lettiani diventati un po’ bersaniani. Due milioni di veneti rimarranno come al solito senza risposte, così la prossima volta che si rifarà il plebiscito la percentuale di votanti salirà. Fino a quando un giorno, sempre in silenzio per non disturbare il premier di turno, il Veneto se ne andrà. Se Roma continua così è inevitabile questo epilogo. Un percorso analogo che attraversa tutta l’Europa, anche nella ricca Germania: vi dice qualcosa la Baviera? Se non si mette mano all’architettura istituzionale italiana e continentale, non sarà più possibile far pagare alle zone ricche i continui errori delle aree povere. E visto che l’euro non salterà tanto vale pensarci subito, prima di perdere altro tempo e altri soldi.
Poi i partiti non si lamentino però se avranno i forestali calabresi sotto i ministeri che pretenderanno lo stipendio, o se Crocetta non sarà più in grado di pagare gli 80 capiredattori dell’ufficio stampa della regione siciliana. I veneti vi avevano avvertiti.