Paolo Siepi, ItaliaOggi 22/3/2014, 22 marzo 2014
PERISCOPIO
Dei rom me ne frego. Vincenzo De Luca, sindaco Pd di Salerno. la Repubblica.
Renato Brunetta: «Silvio Berlusconi è come la Coca Cola». Da tenere al fresco. Spinoza. Il Fatto.
Nel Pd seguono Matteo perché non hanno voglia di assumersi la responsabilità di mandarlo a casa.
Giuliano Urbani, politologo. La Stampa.
Siamo passati da un provincialismo meschino a un mondialismo superfi ciale. Emmanule Le Roy Ladurie, Une vie avec l’histoire. Tallandier.
Quasi 150 mila studenti consumatori abituali di droghe. «E gli altri?». «Bugiardi». Vignetta di Vincino, il Foglio.
«Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona». Da una canzone di Giorgio Gaber.
La nostra Costituzione è davvero ben fatta. Ogni volta che è stata toccata, abbiamo fatto danni. La riforma del Titolo Quinto, ad esempio, è stata disastrosa. Ed è stato un errore eliminare l’immunità parlamentare così come l’avevano immaginata i costituenti. Pier Ferdinando Casini. Sette.
L’opposizione interna contro Renzi, nella vita parlamentare, ha migliaia di occasioni per impallinarlo. Ma Renzi ha dalla sua l’opinione pubblica. Come Berlusconi. Fabrizio Rondolino. Il Giornale.
Angela Merkel ha deciso di rendere l’onore delle armi a Silvio Berlusconi e, dopo aver saputo della sentenza della Cassazione, ha alzato la cornetta e lo ha chiamato: «Come va, culone incandidabile?». Mattia Feltri. La Stampa.
Vedrò certamente il fi lm di Veltroni su Berlinguer. Voglio proprio ridere. Io c’ero in quel Pci, e dico che Berlinguer è stato un politico fallimentare. Il quale, dal 1977 (quando fece mandare i carri armati contro i manifestanti dal sindaco di Bologna, Zangheri) ha avuto anche il demerito di inimicarsi i giovani. Si pensava che il Pci avesse a che fare con la rivolta e invece era la conservazione: il modello che veniva indicato alle ragazze comuniste, negli anni Cinquanta, era Santa Maria Goretti. E ho detto tutto. Fulvio Abbate, ex Pci, scrittore, autore di Intanto anche dicembre è passato. Sperling & Kupfer. Libero.
Il mio impatto con Roma, venivo da Napoli, fu duro. Un ambiente cinico, spietato, antipatico. I miei fi lm scaturiscono dalle mie diffi coltà nei rapporti con le persone, i miei personaggi sono antieroi asociali. Sia Jep Gambardella che Andreotti nel Divo sembra che dominino il mondo circostante e invece lo subiscono. Ho trasfi gurato mio padre, che aveva lo stesso disagio. Vengo da una famiglia semplice e normale, papà bancario e mamma casalinga. Non esistevano libri, anche di fi lm se ne vedevano pochi. Sono fi glio di genitori che erano molto più vecchi di me, ricordo serate passate ad annoiarmi mortalmente con loro e con i loro amici ultra 50enni che giocavano a poker o ballavano in modo mesto, cose che ho messo sia nella Grande bellezza che nell’Uomo in più. Paolo Sorrentino, regista del fi lm La grande Bellezza alla scuola di cinema «Volontè» di Roma.
Noi teniamo nei magazzini i nostri tesori artistici. Basterebbe ricordarsi dove sono fi - niti e come sono conservati i bronzi di Riace. Ma sapete quanti sarcofaghi ci sono in Italia? Bisognerebbe affi ttarli a peso d’oro agli americani, che ci farebbero mostre di sei mesi a New York . La cultura deve essere viva, girare, nella disponibilità di tutti. Umberto Broccoli, sovrintendete ai Beni culturali di Roma dal 2008 al 2013.
Il vero bene è bene solo quando è reso con il male. Lo diceva in siciliano stretto, mia nonna, seconda elementare. Francesco Bongarrà. giornalista e scrittore.
L’espansione industriale continua grazie all’inseguimento da parte dei paesi (felicemente) emergenti che ripetono ciò che Manchester faceva all’inizio del XIX secolo: accumulazioni di capitale, indebitamento sociale mostruoso, disastri ecologici inimmaginabili. L’idea che il nostro avvenire dipenda da un modello cinese di sviluppo è grottesco. Bisogna essere un tecnocrate o un banchiere da talk show televisivo per crederlo e ripeterlo. Jean-Luca Marion, fi losofo, specialista di Cartesio, insegna all’università di Chicago. Le Figaro.
Curzio Malaparte è passato da «Spunta l’alba e canta il gallo / Mussolini monta a cavallo» a cinque anni di confi no per «attività antifascista all’estero», come egli dice uffi cialmente. Il suo trattamento comunque non è per niente così infame come egli affermerà in seguito. A Lipari gli sarà permesso di vivere con l’amante, poi, nello spazio di un anno, il suo protettore Galeazzo Ciano lo farà trasferire a Ischia e da lì al Forte dei Marmi dove scriverà articoli per il Corriere della sera con lo pseudonimo di Candido. Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.
Lettore di Machiavelli e di Hegel (e appassionato, come Stalin, di Darwin) Lenin si crede il profeta di un nuovo universo che ha soppresso quegli arcaismi che sono, ai suoi occhi, l’aristocrazia, la religione o i contadini. Ma anche certe fantasie borghesi come l’amore libero o il piacere di fumare gli sembrano antisociali, perché Lenin era, come Robespierre e contrariamente a Trotsky, un puritano. Tutto ciò che ostruisce la marcia scientifi ca verso il progresso e l’uguaglianza deve essere sotto la Storia, questo Moloch che vale sicuramente il sacrifi cio di qualche milione di uomini. Lenin di Robert Service. Perrin.
Vivi a Firenze? Allora pensi di saper parlare, mangiare, bere, vestire, meglio di qualunque altro italiano. Ma poi, a rappresentarti in giro per il Paese, deleghi Pupo. Se vivi a Firenze, sei incazzoso, irascibile, bastian contrario. Te la tiri con i cognomi danteschi e con le ville nel Chianti. Con le cacce e con le vendemmie dai Ricasoli o dai Frascobaldi. Con il mare di Maremma e con i balli delle debuttanti. Ti senti un po’ inglese. Sei radical chic. Ma spesso questo mix ti rende un bischero e basta. Enrico Vanzina, Commedia all’Italiana. Newton Compton editori.
L’ispettore del tribunale era di età sui cinquant’anni, scapolo, di forte corporatura, vestito di buoni panni e, con in testa, un feltro color topo che gli stava come un elmo, si presentava alle sue vittime con una borsa in mano, dove teneva i ferri del mestiere, cioè alcune matite nere, rosse e bleu, un temperamatite, il «centocodici », una copia del regolamento giudiziario, la carta da lettera del ministero e qualche mezza risma di carta vergatina o extra-strong. Piero Chiara, Viva Miliavacca. Mondadori. 1982.
I gesuiti ti fanno credere quello in cui loro non crederanno mai. Roberto Gervaso. Il Messaggero.