Daniele Abbiati, il Giornale 22/3/2014, 22 marzo 2014
THE APPRENTICE
«Quelli bravi li sento dall’odore »,disse durante un’intervista quasi un anno fa. D’accordo, Verzuolo, il paese in provincia di Cuneo dov’è nato 64 anni fa (li compirà il 12 aprile, essendo un Ariete come da copione testardo e sicuro di sé) è un po’ fuori dalla magica zona aurea del tartufo piemontese, ma lui, Flavio Briatore, ha fiuto sia per l’uno, cioè il prezioso tubero, sia per gli altri, cioè i manager che sceglie per lavoro e per gioco, nonostante «questo non è un gioco, non è un reality!», intima a muso duro ai concorrenti di The Apprentice .
Quindi non stupisce che il banco di prova dei finalisti della seconda edizione andata in onda su Sky Uno (ascolto medio 260mila a puntata, ascolto in differita 610mila) e conclusasi ieri, Alice Maffezzoli (risultata la vincitrice) e Muhannad Al Salhi, sia stato proprio sua maestà il tartufo, e i due si siano dovuti spremere le meningi per esportarlo, confezionato a modino, negli Stati Uniti, dopo aver superato 9 puntate e aver sconfitto 12 avversari. Piemontesità e imprenditorialità, ovvero le due facce della medaglia che il boss per eccellenza porta sul petto, i suoi tratti distintivi. La dottrina del «capo», dispensata tra un «sei fuori!» e l’altro è una dura scuola di vita, impartita in quello che lui considera «un colloquio di lavoro che dura tre mesi ». E, come ogni dottrina, si presta a essere distillata in motti e frasi storiche. Dove troviamo anche quel tanto di saggezza popolare e contadina che, come il tartufo, insaporisce gli affari.
Se per esempio ammonisce: «Uno quando si sveglia si deve anche allacciare le scarpe, non è che si allacciano da sole», vuol dire che l’uomo e la donna di successo non devono dare nulla, ma proprio nulla per scontato, nemmeno l’ovvio. Quindi, anche se presi dalle strategie di marketing e dalla penetrazione del prodotto, conviene ogni tanto ricordarsi che «il cervello non è un accessorio». Diciamo che deve funzionare come un motore da Formula 1. E, a proposito di competizione ad alta velocità, mai perdere di vista la vittoria finale, perché «chi arriva secondo è il primo dei perdenti». Come tutti i maestri severi ed esigenti, ma soltanto per il bene dei loro allievi, Briatore utilizza un linguaggio icastico che ne fa un Socrate dei nostri giorni, disincantato e cinico, ironico e crudele. Quei ragazzi in carriera che si sottopongono al suo insindacabile giudizio, ancora non sanno di non sapere. E lui glielo spiega a modo suo: «Hai mai visto una mucca quando passa un treno? Ecco quella è la tua espressione normale»; «a lavare la testa agli asini sprechi sapone e tempo». Il bestiario di mister Flavio, come quelli medievali è un’enciclopedia simbolica, metaforizza fallimenti («voi fallite prima di iniziare») e presunzioni («sei veramente local»), mette a nudo abiti mentali sgualciti («tu al mattino cosa fai, breakfast o colazione?») e prefigura scenari da battaglia («non è più il mondo di Pulcinella, è un mondo molto competitivo»).
La teoria sta bene dove sta, sui libri che il vate ammette d’aver poco frequentato in gioventù, preferendo tirarsi su le maniche, e nei codici, ma la pratica, poi, va spedita per la propria strada. E chi non sa guidare si ferma ai box: «Tu sei un bravo nuotatore, ma se ti metti in una tazzina d’acqua rischi di affogare ». Perdere di vista il brand , il marchio che ti caratterizza e per cui devi combattere, equivale a tagliarsi i cosiddetti: «È come comprare una Ferrari e levi il cavallino». Anche la retorica, che potrebbe esser buona a indorare la pillola, è una perdita di tempo. Sempre meglio il bastone della carota: «Bisognerebbe mettervi in una macchina e farne uscire uno normale, bisogna darvi delle bastonate sulla testa». Il prezzo buono, quello che all’apparenza attira il cliente, è una pia illusione: «Io voglio dei managers non voglio degli svenditori». E chi vuole alzare troppo la cresta viene cucinato come un pollo: «Tra tutti i fenomeni che pensate di essere io vi distruggo subito, vi mando affanculo tutti quanti».
Insomma,più che un’accademia, The Apprentice è una palestra in stile Full Metal Jacket , ma per fortuna senza vittime, anche se molti che restano prigionieri dei propri sogni senza realizzarli. La formula di commiato del boss è «A presto and good luck». Al prossimo The Apprentice, quindi. Per adesso, siamo tutti «fuori!».